lunedì 27 febbraio 2012

Questa mattina si è tenuta una nuova udienza del processo per l'uccisione di Vittorio, presso la corte militare di Gaza city.
L'udienza è iniziata alle 10.53.
In gabbia erano presenti tre imputati, Tamer Hasasnah, Mahmoud Salfiti, Khader Jram.
Il quarto imputato, Amer Abu Ghoula, a piede libero perché accusato di reati minori, nuovamente non si è presentato in aula ed attualmente non se ne hanno notizie.
Quando parenti ed amici degli imputati sono entrati in aula, questi si sono avvicinati alla gabbia ed hanno iniziato a parlare con gli imputati. Allora mi sono alzata ed ho chiesto all'avvocato del PCHR di intervenire per protestare contro l'assurdità della situazione. L'avvocato del PCHR allora si è rivolto ad un militare che è intervenuto per ristabilire l'ordine.

L'udienza è iniziata ed è stata nuovamente presentata alla corte la lettera, questa volta tradotta in arabo, che la famiglia di Vittorio, in risposta ad un appello dei famigliari degli imputati, ha inoltrato al PCHR affermando di non volere che sia eseguita la pena di morte in caso di condanna degli imputati, ma che sia portato avanti un processo nel rispetto del diritto internazionale e che sia fatta giustizia ( qui il testo della lettera:  http://www.pchrgaza.org/files/2011/Letter%20Gaza%20families.pdf  ).
La corte ha preso così visione sia della lettera inviata dai famigliari degli imputati, sia della lettera inviata in risposta dalla famiglia di Vittorio.

Successivamente un avvocato della difesa ha affermato che non vi sono più testimoni da ascoltare. Un secondo avvocato della difesa ha chiesto che siano ascoltati due imputati, Tamer Hasasnah e Mahmoud Salfiti. L'altro avvocato è però intervenuto dicendo che ha bisogno di visionare alcuni documenti processuali ed ha chiesto di rinviare l'udienza.

La corte ha aggiornato il processo al prossimo 15 marzo.



domenica 26 febbraio 2012


Ieri siamo usciti di nuovo con la barca Oliva per monitorare le violazioni dei diritti umani da parte della marina israeliana nelle acque di Gaza.
Qui un breve report.

Siamo partiti dal porto di Gaza city alle 16.00. A bordo della Oliva ero con un altro osservatore internazionale CPSGaza, un visitatore internazionale e il capitano palestinese.

Alle 16.40, eravamo a circa 2 miglia nautiche dalla costa quando abbiamo osservato  una nave della marina israeliana avvicinarsi ai pescatori e continuare a muoversi a grande velocità fra le loro barche, dicendo loro di andare via.
Quando abbiamo raggiunto le imbarcazioni dei pescatori, la nave della marina israeliana ha indietreggiato.

Alle 16.51, alcuni pescatori ci hanno informato che la nave della marina israeliana aveva aperto il fuoco verso le loro imbarcazioni prima che raggiungessero le tre miglia nautiche dalla costa.

Verso le 17.00, abbiamo osservato la nave della marina israeliana muoversi a gran velocità verso i pescatori.
Alle 17.14, la nave della marina israeliana ha iniziato a sparare verso i pescatori. Poi, ha iniziato a indietreggiare.
Alle 17.30, abbiamo osservato la nave della marina israeliana iniziare a muoversi verso i pescatori e sparare in acqua.
Alle 17.52, abbiamo osservato la nave della marina israeliana sparare verso un peschereccio.
Alle 18.20 siamo tornati al porto di Gaza.


Alcuni pescatori ci hanno riferito che i soldati della marina israeliana li hanno minacciati dicendo loro che se avessero comunicato con noi osservatori internazionali della Oliva, la volta successiva avrebbero mirato alla loro barca.

I pescatori si sentono protetti dalla nostra presenza.
Quando la barca Oliva non è in mare, i pescatori vengono spesso arrestati e le loro barche confiscate.
Vengono attaccati e la marina israeliana impedisce loro di pescare.

Siamo tornati al porto di Gaza city quando ormai era buio. La nostra barca non è ancora attrezzata per restare in mare di notte. Mentre ci allontanavamo, il cielo era illuminato dai flares utilizzati dalla marina israeliana.

Lascio i pescatori con un senso di sconforto e di impotenza pensandoli in balia della marina israeliana durante la notte. Ma allo stesso temoo nutro la speranza che il progetto della barca Oliva possa crescere giorno dopo giorno e che, se saranno raccolti fondi, possa essere meglio equipaggiata.

Spero anche che sia fatta maggiore pressione sulla Comunità Internazionale perché condanni i continui attacchi da parte della marina israeliana contro i pescatori di Gaza e perché eserciti pressione su Israele perché consenta ai pescatori di lavorare all'interno delle 20 miglia nautiche a cui hanno diritto.



Backgroud:

Le restrizioni sull'area in cui i pescatori possono pescare incidono notevolmente sulle capacità di sostentamento dei palestinesi.
Quest'area doveva estendersi fino a 20 miglia nautiche dalla costa secondo gli accordi di Jericho del 1994 (sotto gli accordi di Oslo), poi fu ridotta a 12 miglia, a 6 miglia ed infine a 3 miglia dal gennaio 2009.
La "buffer zone" marina impedisce ai pescatori palestinesi l'accesso all'85% delle acque di Gaza a loro concesse dagli accordi di Oslo.
Israele continua regolarmente ad attaccare i pescatori palestinesi entro il  dellelimite 3 miglia nautiche.
La sussistenza di molti Gazani dipende dalla pesca e Israele continua a usare armi da fuoco e cannonate d'acqua per impedire ai pescatori di svolgere il proprio lavoro.
L'assedio israeliano continua dopo più di 4 anni, limitando l'area marina disponbile per la popolazione di Gaza.

Civil Peace Services Gaza continua a monitorare le violazioni dei diritti umani nelle acque di fronte alla Striscia di Gaza.

E'possibile trovare il report in inglese sul sito del CPSGaza: http://www.cpsgaza.org/

Chi volesse supportare il progetto della barca Oliva e volesse ricevere qualsiasi altra informazione può scriverci all'indirizzo: info@cpsgaza.org



giovedì 16 febbraio 2012

Cinque pescatori di Gaza sono stati arrestati nei giorni scorsi dalla marina israeliana nelle acque a nord di Gaza.
Adham Mahmoud Abo Ryada, 22 anni e Mohammed Mahmoud Abo Ryada, 13 anni, fratelli, arrestati domenica sera.
Jamal Ramadan Al-Sultan, 58 anni e Fadel Jamal Al-Sultan, 21 anni, padre e figlio, arrestati lunedì mattina. Ahmed Mohammed Zayed, 27 anni, arrestato martedì mattina.

Ieri sera abbiamo visitato la famiglia dei fratelli Adham e Mohammed Abo Ryada in Beach Camp, Gaza city.
Gaza è ormai senza corrente, siamo accolti in una sala illuminata dalla sola luce di una candela.
Il padre dei due fratelli inizia a raccontarci della loro vicenda.
Erano le 19.00 di domenica sera quando i due ragazzi stavano raccogliendo le proprie reti dal mare per poi tornare indietro.
Il forte vento aveva spinto la loro barca oltre le tre miglia nautiche dalla costa.
La marina israeliana si è avvicinata alla loro imbarcazione ed ha iniziato a sparare.
Hanno cercato di scappare ma non ce l'hanno fatta.
I soldati israeliani, come usano fare, hanno chiesto loro di svestirsi, di tuffarsi in acqua e di salire sulla nave della marina.
Una volta saliti sulla nave, i soldati hanno bendato loro gli occhi e hanno legato le loro mani. I due ragazzi non hanno potuto vedere più nulla fino a quando hanno raggiunto il porto di Ashdod, in Israele, verso le 22.30/23.00.
Li hanno portati in una stanza dove sono rimasti per 30 minuti. Poi i soldati hanno controllato il loro corpo con un dispositivo elettronico e li hanno interrogati.
Durante l'interrogatorio, hanno chiesto loro informazioni sulla polizia del porto di Gaza ed è stato proposto loro di diventare "collaborazionisti" di Israele. Hanno chiesto loro se i vicini di casa sono coinvolti in attività contro Israele. Adham ha risposto di non saperlo. Dopo l'interrogatorio, i soldati li hanno portati su un bus ed hanno raggiunto un punto di attraversamento a loro sconosciuto. Dopo un'ora e mezza hanno preso un altro bus, i soldati li hanno poi lasciati camminare in una strada in Erez e li hanno lasciati uscire.
I due fratelli hanno dormito fuori il gate di uscita.
I loro vestiti erano freddi, Adham cercava di coprire suo fratello piccolo.
I soldati sulla nave avevano dato loro delle t-shirt dal tessuto molto sottile.
Non sapevano in che direzione andare. Così hanno dormito fino alle 6.00 del mattino fuori il gate, e poi, alla luce del giorno, hanno camminato fino all'ufficio palestinese. Infine Adham ha chiamato uno dei suoi fratelli che li è andati poi a prendere.

Suo fratello piccolo, Mohammed, ha gli occhi sbarrati.
Ci ha raccontato che i soldati israeliani gli hanno detto, tentando di farlo arrabbiare: "Che cosa ti dirà tuo padre quando tornerai senza la barca?"
Mohammed ha detto che non vuole più lavorare come pescatore. "Dopo quello che ho visto, non voglio più essere un pescatore, ho paura. E'la prima volta che ho vedo una cosa del genere, non sarò un pescatore", ci ha detto.
Sin da quando aveva sei anni aiutava suo fratello quando andava a pescare.
Mohammed ha anche una piccola ferita alla gamba sinistra, si è fatto male mentre saliva sulla nave della marina israeliana.
Suo padre ci dice "Non possiamo fare nulla. Non possiamo più lavorare. La nostra vita si è fermata".
Nella sua famiglia diciotto persone dipendevano da quella barca.
I soldati hanno preso ogni cosa, le reti ed il pescato.
Hanno detto loro "Vi chiameremo quando vi ridaremo la barca". Ma loro sanno che questo non accadrà mai.
"Vorremmo le nostre reti, vorremmo continuare a pescare e vorremmo che ci lascino vivere", conclude il padre dei due ragazzi.

Ieri siamo andati in Beit Lahia a visitare la famiglia di altri due pescatori arrestati lunedì mattina, si trovavano nella acque a nord di Gaza.
Jamal Ramadan Al-Sultan è un uomo di 58 anni. I suoi occhi sono intensamente espressivi.
Con lui c'è anche l' altro pescatore arrestato martedì mattina, Ahmed Mohammed Zayed, 27 anni.
Un velo di tristezza attraversava i loro occhi ma ci hanno raccontato la loro vicenda con ironia, è la loro forza.

Ahmed ha iniziato a raccontarci la sua esperienza. Era da solo sulla sua barca a remi.
E' stato arrestato martedì mattina verso le 6.00. Stava raccogliendo le reti sulla sua barca prima di tornare indietro. Una nave della marina israeliana si è avvicinata alla sua imbarcazione e gli ha chiesto di fermarsi. Ha cercato di scappare ma i soldati israeliani hanno iniziato a sparare. Hanno colpito due galleggianti sulla sua barca. Ahmed allora si è fermato. Gli hanno chiesto di svestirsi e di tuffarsi in acqua. Ahmed ha rifutato di tuffarsi in acqua perché non sa nuotare bene. I soldati hanno allora iniziato a sparare di nuovo. Ha dovuto così tuffarsi in acqua e gli hanno lanciato un salvagente. Sulla nave, i soldati gli hanno legato le mani e l'hanno bendato.  Hanno poi iniziato a dirigersi lentamente verso Ashod. Aveva dolore ai polsi perché le manette con cui gli avevano legato le mani erano molto strette. Ha chiesto così ai soldati di allentarle e di abbassare la benda. Hanno raggiunto il porto di Ashdod e l'hanno portato in una stanza dove è rimasto per 30 minuti, poi hanno controllato le sue mani con un dispositivo elettronico e gli hanno controllato la pressione. Ahmed è stato poi interrogato. La prima domanda riguardava la sua famiglia, il numero e il nome dei suoi fratelli. Ahmed aveva dimenticato di dire il nome dell'ultimo fratello nato recentemente. I soldati allora hanno inziato a dirgli che era un bugiardo. "Sei un bugiardo, che cosa ci dici di Yousef? ha un mese", gli hanno detto. Allora Ahmed ha risposto loro: "No, ha due mesi". Poi gli hanno chiesto informazioni sulla zona in cui vive e sulla polizia del porto. Una delle persone che lo interrogava gli ha detto: " Vuoi che ti dica io le cose?", per fargli capire che loro avevano tutte le informazioni e per intimorirlo. Chi lo interrogava sapeva tutto sulla sua famiglia.
Allora Ahmed gli ha risposto: "Perché mi chiedi queste informazioni se sai ogni cosa?". "Perché voglio sapere se sei un bugiardo o no", gli ha risposto.
Gli hanno poi mostrato una grande mappa e gli hanno chiesto informazioni su diverse zone di Gaza.
Gli hanno poi chiesto informazioni su una centrale. Ahemd ha detto loro "E' per l'acqua". "No, è per i rifiuti", gli hanno risposto. Gli hanno poi chiesto informazioni sulla polizia del porto in Soudania e sull'ufficio del porto di Gaza. Poi, gli hanno mostrato sulla mappa la zona in cui vive. Una delle persone che lo interrogava ha indicato il negozio di suo fratello. Gli hanno detto: "Dove preferisci andare?", e gli hanno mostrato il punto dove si trova la sua auto. Poi gli hanno chiesto se gli piace andare in una zona chiamata Birlnaaja, Ahmed gli ha risposto "Non conosco questa zona".
Gli hanno poi chiesto il suo numero di telefono. Ahmed ha risposto di non avere il telefono perché l'ha perso, ma di poter dar loro il numero. Gli hanno allora chiesto i numeri di telefono dei suoi familiari. Ahmed ha risposto di non ricordarli. Una delle persone che lo interrogava ha iniziato a dirgli che era un bugiardo e gli ha detto: "Voglio avere il tuo numero di telefono per ridarti indietro la barca".
Ahmed gli ha dato il numero del telefono che ha perso. Poi, questa stessa persona ha chiamato un soldato dicendo di portare via Ahmed ed hanno preso una benda per coprirgli gli occhi. Ahmed ha detto di non poter tenere la benda perché soffre di problemi agli occhi. Questa stessa persona gli ha risposto "Questo il nostro ordine, ma non sarà molto stretta", poi gli ha detto "Abbi cura di tua moglie e dei tuoi figli".... Ha poi chiesto ad Ahmed di diventare "amici". Diventare "amici" significa fornire loro informazioni, significa diventare "collaborazionisti" di Israele. Ahmed gli ha risposto "No, non voglio".
Questa stessa persona che lo interrogava gli allora chiesto se fosse felice. Ahmed gli ha risposto: "Anche se ora mi rilasciate ed ho perso la barca, sarò felice senza la tua amicizia".
Gli hanno infine detto ironicamente di lasciare un messaggio da parte loro alla Internal Security di Hamas: "Ora non potranno lavorare tanto bene al compuer perché non hanno più elettricità", gli hanno detto.
Poi i soldati hanno portato Ahmed nella stessa stanza dove si trovava all'inizio. Ha detto loro di non sentirsi bene. Uno dei soldati gli ha portato della menta da bere, poi l'hanno lasciato lì circa un'ora. Improvvisamente due uomini sono entrati nella stanza e gli hanno chiesto di alzarsi. L'hanno preso violentemente e gli hanno legato le gambe con delle manette. Gli hanno chiesto di camminare con loro fino al bus. Ahmed non riusciva a salire sul bus, avendo le gambe legate. "Non riesco a salire", ha detto loro. I soldati gli hanno risposto "Tu devi salire". Ahmed allora ha cercato di salire poggiandosi sulle ginocchia. Sul bus, i soldati gli hanno detto di mettersi la cintura di sicurezza. "Non posso", ha risposto Ahmed, "ho lemani legate". Un soldato allora gli ha messo la cintura di sicurezza. Arrivati ad Erez, i soldati hanno consegnato Ahmed ad una persona in divisa civile e si sono presi gioco di lui. "Com'era il pesce oggi?", gli hanno detto. Ahmed ha risposto loro "Avete preso la mia barca, ora vado a casa a dormire con la mia famiglia".
Ad Erez i soldati gli hanno dato dei fogli su cui è indicato il limite delle tre miglia nelle acque di Gaza ed il limite nord con Ashdod e gli hanno detto di consegnarli agli altri pescatori. Al gate di uscita gli hanno detto di camminare guardando diritto. "Se ti giri da un'altra parte ti spariamo".
Ahmed ha iniziato a correre. Ha incontrato dei palestinesi in viaggio ed ha camminato con loro fino a quando ha raggiunto l'ufficio palestinese. Poi è andato alla Internal Security per essere interrogato ed è tornato a casa.
Gli abbiamo chiesto se se la sente di lasciare un messaggio alla comunità internazionale. "Chiedo che ci sostengano per avere le barche indietro. La nostra vita si è fermata perché dipendeva da quella barca. E chiedo sostegno per i palestinesi ogni giorno."
Ahmed ha due figli, di 2 e 3 anni.
E'la quarta volta che viene fermato dai soldati israeliani, "Non so quanta pena ho ricevuto da Israele". Lavora come pescatore da quando aveva 13 anni. "Questo è il mio lavoro. Continuerò a lavorare nel mare", conclude Ahmed.

Infine, anche Jamal, arrestato lunedì mattina, ci ha raccontato la sua esperienza.
Jamal si trovava su una barca a remi con suo figlio ed ha vissuto gran parte di ciò che hanno vissuto gli altri pescatori: i soldati della marina israeliana li hanno fermati, hanno chiesto loro di tuffarsi in acqua e li hanno portati ad Ashdod. Qui hanno mostrato loro una mappa, questa volta non cartacea, ma sullo schermo di un computer ed hanno chiesto loro informazioni. Jamal ci ha raccontato che gli hanno offerto bevande e medicine, ma lui ha rifiutato, non voleva ingerire nulla gli venisse offerto.
Jamal e suo figlio sono rimasti 30 minuti in una stanza, per poi essere interrogati. Li hanno poi portati ad Erez dove sono stati sottoposti ad un altro interrogatorio. Gli hanno chiesto informazioni sulla sua famiglia e sul numero dei figli maschi. Jamal ha risposto di avere 8 figli. La persona che lo interrogava gli ha detto "No, tu hai 9 figli".
Jamal gli ha risposto "No, uno l'avete ucciso durante Piombo Fuso in una scuola".
Loro allora hanno iniziato a dirgli che suo figlio faceva parte della resistenza.
Il fliglio di Jamal aveva 27 anni e fu ucciso insieme ad altri tre ragazzi in una scuola dell' UNRWA colpita da un missile tre anni fa durante Piombo Fuso. Durante Piombo Fuso tante persone si rifugiavano nelle scuole sentendosi "al sicuro", ma Israele le colpì indiscrimatamente.
Le persone che lo interrogavano gli hanno poi chiesto se avesse informazioni sulla resistenza palestinese e sui campi di allenamento della resistenza. Jamal ha risposto di non sapere. "Noi sappiamo", gli hanno risposto, e gli hanno chiesto quali fossero i punti da cui la resistenza lancia missili. "Non lo so", ha risposto Jamal.
Gli hanno chiesto se volesse mangiare, ma lui ha rifiutato. Anche a lui hanno hanno offerto la loro "amicizia": " Se hai qualsiasi informazione, sarai felice". L'hanno poi portato al gate di uscita, si è diretto all'ufficio palestinese ed è tornato a casa. Suo figlio è ancora fermo per un interrogatorio presso la Internal Security di Hamas.
Abbiamo chiesto a Jamal se se la sente di lasciare un messaggio. "Tutti i pescatori subiscono questa situazione, affrontiamo tutte queste difficoltà nel mare, cerchiamo di nutrire le nostre famiglie, cerchiamo di sopravvivere. La comunità internazionale può sostenere la causa palestinese per fermare questo assedio, perché noi siamo sotto assedio nel mare, nel cielo e sulla nostra terra."


Ahmed Mohammed Zayed, 27 anni, e Jamal Ramadan Al-Sultan, 58 anni


Adham Mahmoud Abo Ryada, 22 anni, e Mohammed Mahmoud Abo Ryada, 13 anni



mercoledì 15 febbraio 2012

Sabato notte caccia F-16 israeliani hanno lanciato una serie di incursioni su obiettivi civili in diverse zone della Striscia di Gaza. Durante un attacco un uomo è morto e suo figlio è rimasto ferito in al-Zaytoon, area sud est di Gaza city.

Un F-16 ha bombardato una fattoria di animali poco prima di mezzanotte.
Il guardiano della fattoria, Abed Alkareem Azaitooni, 71 anni, è rimasto ucciso.
Si trovava all'interno di un capanno di acciaio posto accanto al recinto per gli animali.

Suo figlio, Mohammed Azaitooni, 22 anni, è rimasto ferito. Stava portando del cibo a suo padre.
La maggior parte degli animali nella fattoria sono morti e le attrezzature sono danneggiate.
Il proprietario della fattoria ha perso una ventina di mucche, una trentina di pecore e gran parte del cibo per gli animali.

La stessa fattoria fu colpita anche durante Piombo Fuso e fu poi ricostruita.

Anche l'abitazione accanto alla fattoria ha subito dei danni ma fortunatamente nessuno all'interno è rimasto ferito.
"Sono stato fortunato perché fino a 10 minuti prima del bombardamento mi trovavo con Abed", ci ha riferito il proprietario dell'abitazione.

Sul posto abbiamo trovato 5-6 ragazzi intenti a cercar di recuperare il mangime per gli animali e tutto ciò che poteva essere salvato.

Una giacca era appesa ad una colonna di cemento, era la giacca di Abed.
Galline camminavano fra le macerie della fattoria.
Una giaceva a terra morta. Un gallo camminava sul suo corpo lo spingeva con il becco, come se stesse cercando di incitarla a muoversi.
Dalle macerie spuntava la testa di una pecora.
Sul terreno, un enorme cratere provocato dalla bomba.
Macerie erano sparse ovunque.

Il giorno successivo all'attacco siamo andati alla mourning tent (la tenda del lutto).
Abed Kareel Zaytouni aveva 9 figli, 6 maschi e 3 femmine.
La sua famiglia è originaria di Jaffa. Abed aveva passato gli ultimi 20 anni della sua vita lavorando come guardiano. Tornava a casa solo un giorno a settimana. Ha iniziato a lavorare in questa fattoria sei anni fa. Quando era giovane lavorava come facchino.
Suo fratello, Achmed, 73 anni, ci ha detto: "Siamo cresciuti senza i nostri genitori, nostro padre è morto prima che me ne potessi ricordare. Siamo venuti da Jaffa direttamente a Gaza. La nostra vita è iniziata con sofferenza, cercavamo sempre di lavorare ovunque potevamo. Alla fine ognuno si è sposato ed ha avuto una propria famiglia."

Abbiamo visitato il figlio di Abed, Mohammed, 22 anni, ricoverato allo Shifa hospital.
Mohammed lavorava nella stessa fattoria del padre, dava da mangiare agli animali. Ha iniziato a lavorare lì 4 anni fa.
Portava sempre del cibo a suo padre durante il suo orario lavoro. Quella notte avrebbe voluto dargli il cambio, così che suo padre potesse avere una notte di riposo.
Dopo il bombardamento ha cercato subito suo padre, ne sentiva i lamenti. I lamenti poi si sono fermati.
Dieci minuti dopo è arrivata l'ambulanza.
Mohammed si trova ancora in ospedale, vi resterà fino a quando le sue ferite saranno sanate abbastanza da parmettergli di tornare a casa. Ha diverse costole rotte ed un polmone perforato.
Durante quella stessa notte, gli F-16 israeliani hanno lanciato tre incursioni simili in Rafah e Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza. Uno degli attacchi ha colpito un capanno agricolo nel villaggio di al-Qarara. Il secondo attacco ha colpito una stanza vuota di una casa nel villaggio di al-Shouka. Il terzo attacco è avvenuto in un'area vuota nel villaggio di al-Shouka.

Israele nei suoi comunicati ha affermato di aver bombardato obiettivi militari.
Gli obiettivi che Israele ha bombardato sono obiettivi civili.

Gaza continua a vivere sotto assedio e sotto un cielo sorvolato quotidianamete da aerei militari.
Gaza continua a piangere i suoi morti.



Mohammed Azaitooni, 22 anni, ricoverato attualmente allo Shifa hospital


il cratere provocato dalla bomba


un recinto per gli animali semicrollato


una pecora sepolta dalle macerie

una pecora sepolta dalle macerie


il capanno distrutto dove si trovava Abed


galli camminano fra le macerie


giovani cercano di recuperare il mangime per gli animali all'inerno del capanno


giovani cercano di recuperare mangime per gli animali all'interno del capanno


giovani cercano di recpuperare mangime per gli animali all'interno del capanno

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english
Saturday night israeli F-16's bombed civilian targets in several areas of the Gaza strip.
One of these strikes killed a man and injured his son in the neighborhood of al-Zaytoon, south-east Gaza city.
An F-16 dropped a bomb on a farm just before midnight.
The watchman of the farm, Abed Alkareem Alzaitooni, 71 years old, was killed.
He was sitting in a steel shed next to the animal pen.
His son, Mohammed Alzaitooni, 22 years old, was injured, He was bringing some food to his father.
Most of the animals in the farm were killed and the equipment was damnaged.
The owner of the farm lost about 20 cows, 30 sheep and most of the feed for the animals.
The same farm was targeted was also during Cast Lead and then was rebuilt.
The house near the farm was damnaged but luckily nobody was injured.
The owner of the house told us: "I was lucky because 10 minutes before the bombing I was with Abed".
At the scene we found 5-6 young men trying to salvage the feed and anything else they could.
A jacket was placed on a cement column. It was the jacket of Abed.
Some chickens walked on the rubble.
A chicken lay dead on the ground. A rooster walked over to her body and pushed at it as if was trying to encourage to move.
From the rubble emerged the head of a sheep.
There was a big crater in the ground from the bomb.
Rubble is spread everywhere.
The day after the airstrike we went to the mourning tent.
Abed Kareem Zaytooni had 6 sons and 3 daughters.
His family were natives of Jaffa. Abed spent the last 20 years of his life working as watchman.
He returned home only one day per week.
He started to work in this farm 6 years ago. When he was young he worked as porter.
His brother, Achmed, 73 years old, told us: "We grew up without our parents, our dad died before I can remember.
We came to Gaza directly form Jaffa. Our life started with suffering, we always tried to work anywhere we could. At the end
everyone had his family."
We visited the son of Abed, Mohammed, 22 years old, in Shifa hospital.
Mohammed worked on the same farm as his father, he fed the animals.
He started to work there 4 years ago.
He always brought food to his father when he was at work. That night he wanted to replace him so his father could have a
night off.
After the bombing he searched for his father, he heard his father's moaning. Then the moaning stopped.
Ten minutes later the ambulance came.
Mohammed is still in the hospital while his wounds heal enough for him to go home.
He suffers several broken ribs and a punctured lung.
We asked him if had anything to say to the world. He said: "For the arabic and islamic people, they must wake up from their
sleep. For the West, you have abandoned us to death".
During that same night, the israeli F-16's launched similar airstrikes in Rafah and Khan Younis, in the south of the Gaza strip.
One of these strike targeted an agricultural shed in al-Qarara village.
The second airstrike targeted a vacant room in a house in al-Shouka village.
The third airstrike targeted an open area in al-Shouka village
Israel announced it had bombed military targets.
The targets Israeli bombed were civilan targets.
Gaza continues to live under the siege and under a sky full of warplanes.
Gaza continues crying, it continues to mourn its dead.

lunedì 13 febbraio 2012

Questa mattina presso la corte militare di Gaza city si è tenuta una nuova udienza del processo per il rapimento e l'assassinio di Vittorio.
In gabbia tre imputati, Tamer Hasasnah, Mahmoud Salfiti, Khader Jram.
Il quarto imputato, Amer Abu Ghoula, a piede libero perché accusato di reati minori, nuovamente non si è presentato in aula ed attualmente non se ne hanno notizie.
L'udienza questa volta è durata più delle precedenti, che, di solito, per assenza dei testimoni o per la mancata visione dei documenti da parte della difesa, duravano solo pochi minuti.
Sono stati ascoltati due testimoni della difesa, tra cui il padre di Salfiti. Sono state poste loro domande sulla loro affiliazione politica e sull'amicizia con il giordano (Abdel Rahman Breizat, ucciso durante lo scontro a fuoco con la polizia di Hamas).
Successivamente, un avvocato del PCHR (Palestinian Centre for Human Rights) ha presentato alla corte il messaggio che la famiglia di Vittorio, in risposta ad un appello dei famigliari degli imputati, ha inoltrato al PCHR affermando di non volere che sia eseguita la pena di morte in caso di condanna, ma che sia portato avanti un processo nel rispetto del diritto internazionale e che sia fatta giustizia ( il testo della lettera:  http://www.pchrgaza.org/files/2011/Letter%20Gaza%20families.pdf  )

A fine intervento, l'udienza è stata rinviata al prossimo 27 febbraio.



sabato 11 febbraio 2012

Khader Adnan Mohammed Musa, 33 anni, di Arabba, sudest di Jenin, ed esponente politico della Jihad Islamica, è in sciopero della fame da 56 giorni. E'stato arrestato il 17 dicembre 2011. Subito dopo l'arresto è entrato in sciopero della fame, in protesta alla detenzione amministrativa ed alle disumane condizioni a cui è stato sottoposto.

Addameer - Prisoner Support and Human Rights Association racconta quanto accaduto a partire dal giorno del suo arresto. 
Il 17 dicembre 2011, alle 3.30 del mattino, i soldati israeliani hanno fatto irruzione nella sua abitazione, sparando, e l'hanno preso violentemente davanti alle sue due figlie ed alla moglie.
I soldati gli hanno bendato gli occhi e legato le mani dietro la schiena prima di portarlo su un jeep militare. Hanno iniziato a dargli schiaffi sul viso e calci sulle gambe. L'hanno colpito alla testa per tutti dieci minuti del tragitto fino a quando hanno raggiunto la colonia di Dutan. Arrivati all'insediamento, Khader è stato spinto violentemente dalla jeep. Essendo bendato, non ha potuto vedere il muro davanti a sé e vi è sbattuto, ferendosi al volto.
Sebbene fosse stato arrestato alle 3.30 del mattino, è rimasto ammanettato fino alle 8.30, fino a quando è stato trasferito alla prigione di Megiddo. Dal primo giorno del suo arresto, Khader ha iniziato uno sciopero della fame in protesta alla sua carcerazione. La mattina seguente, è stato sottoposto ad un interrogatorio. Durante l'interrogatorio è stato insultato ed umiliato, con un linguaggio offensivo soprattutto nei confronti di sua moglie, sua sorella, le sue figlie e sua madre.
Il primo giorno dell'interrogatorio, ha risposto alle domande nonostante la continua serie di insulti. Tuttavia, dopo la prima sessione, Khader ha smesso di ripondere a causa del linguaggio usato nei suoi confronti.
Le sessioni degli interrogatori sono continuate nei successivi 10 giorni, escluso i lunedì.
Al quarto giorno di interrogatorio, l'Israeli Prison Service ha deciso di rinchiuderlo in cella di isolamento per 7 giorni, a causa del suo sciopero della fame. E'stato anche deciso di non permettere le visite della famiglia per 3 mesi. Ogni giorno Khader è stato sottoposto a due sessioni di interrogatorio di tre ore, durante le quali le sue mani erano legate dietro la schiena, causandogli estremo dolore. Durante la seconda settimana di interrogatorio, gli è stata tirata così forte la barba che gli è stata in parte strappata. Questa stessa persona che gli ha tirato la barba ha preso la sporcizia dal fondo della propria scarpa e l'ha strofinata sui baffi di Khader in segno di umiliazione.
Venerdì 30 dicembre Khader è stato trasferito nell'ospedale del carcere di Ramleh a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute dovuto allo sciopero della fame. E'stato messo in isolamento nell'ospedale, al freddo. Khader ha rifiutato ogni esame medico dal 25 dicembre. I soldati hanno anche chiuso la parte superioriore della cella per bloccare la circolazione dell'aria.

L'8 gennaio 2012, è stato emesso un ordine di carcerazione amministrativa di 4 mesi nei suoi confronti. Come per tutti gli altri detenuti amministrativi, la detenzone di Khader è basata su informazioni segrete raccolte dalle autorità israeliane, disponibili al giudice militare ma non ai detenuti né ai loro avvocati. Questa pratica viola la legge internazionale, che permette un uso limitato della carcerazione amministrativa in situazioni di emergenza, ma richiede che le autorità seguano le regole di detenzione, incluso udienze in cui il detenuto può contestare le ragioni della sua detenzione.
Queste minime regole sono state chiaramente violate nel caso di Khader, lasciato senza nessun legittimo mezzo per difendere se stesso.
La detenzione amministrativa consente ai soldati israeliani di trattenere detenuti a tempo indeterminato senza accusarli o senza permettere loro un processo.
Il ricorso di Israele alla detenzione amministrativa viola le restrizioni previste dal diritto internazionale.

Sebbene il periodo degli interrogatori sia terminato, Khader rimane in sciopero della fame per molti motivi: considera il suo arresto una violazione dei suoi diritti e della sua identità e rifiuta di accettare il sistema della detenzione amministrativa.
E possibile avere ulteriori informazioni al link di Addameer: http://www.addameer.org/etemplate.php?id=428

Come riporta il PCHR (Palestinain Centre for Human Rights), la comunità internazionale deve intervenire per fermare i continui abusi contro i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
La detenzione amministrativa è illegale, e cade sotto la cetegoria degli arresti politici, costituendo una violazione del diritto del detunuto ad un processo corretto incluso il suo diritto a ricevere adeguata difesa ed essere informato delle accuse contro di lui.

Migliaia di prigionireri palestinesi sono rinchiusi attualmente nelle carceri israeliane, di cui molti sono adolescenti, senza processo ed in assenza di avvocati.
Organizzazioni umanitaire ed internazionali denunciano i maltrattamenti ed abusi ai danni dei prigionienri palestinesi nelle carceri israeliane.

Khader è attualmente è in condizioni critiche e rischia un arresto cardiaco.
E' stata concessa una visita alla sua famiglia martedì sera. Sua moglie, Randa Adnan, al quinto mese di gravidanza, ha detto di essere rimasta scioccata per le condizioni di suo marito. Lui le ha detto che sente di star vivendo gli ultimi momenti della sua vita. "Gran parte dei capelli e della barba sono caduti. Non gli è stato permesso di fare una doccia o di lavarsi durante tutto il periodo della sua detenzione, né gli è stato consentito di indossre vestiti pesanti in questo periodo così freddo" dice Randa a Maa'n News.

A Gaza city, fuori l' International Committee of the Red Cross (ICRC), è stata montata una tenda dove molte persone hanno iniziato uno sciopero della fame in solidarietà a Khader Adnan.
Giovani attivisti e musicisti di Gaza si sono uniti allo sciopero e giovedì si è tenuta un'intera giornata di solidarietà e di protesta.




Khader Adnan, 33 anni


Foto del presidio in solidarietà a Khader Adnan, Gaza city:



















martedì 7 febbraio 2012

Venerdì notte, 3 febbraio 2012, l'aviazione militare israeliana ha lanciato un'incursione lungo tutta la Striscia di Gaza, colpendo a sud Shouka (Rafah) e Khan Younis, a centro nella zona di Nuseirat e a nord di Gaza, in Jabalia e Beit Lahiya.
Tre i feriti in Beit Lahiya, tra cui due bambini, diversi traumatizzati e molti edifici danneggiati.

Siamo andati in Beit Lahiya per fare visita alle famiglie coinvolte nell'attacco.
L'edificio colpito è un negozio, probabilmente un negozio di alimentari. E' completamente in pezzi. Una parete rimasta in piedi è inclinata e quasi sta cedendo.
Macerie, mattoni sparsi, un frigo per gelati, un armadietto aperto e scaffali riversati a terra insieme a bibite, frutta secca, buste di patatine e merendine.

Incontriamo una prima famiglia coinvolta nell'attacco.
Wadee Mahmoud Al-Ashquer, 3 anni, dormiva sotto la finestra della sua abitazione al momento dell'incursione. I vetri dalla finestra si sono riversati su di lui.
Ha il viso graffiato dalle schegge.

La seconda famiglia coinvolta abita a circa 30 metri dal negozio.
La maggior parte dei vetri delle finestre dell'abitazione sono crolatti.
Haya Fadel Taha, 3 anni, è rimasta ferita all'orecchio sinistro. Suo padre ci dice:  "Ho preso mia figlia e sono uscito fuori, ho trovato un'ambulanza e siamo andati al Kamal Adwan Hospital. Siamo stati lì un'ora fino
a quando il dottore non ci ha rassicurato sulla situazione. Dopo il bombardamento l'elettricità è andata via e i miei bambini hanno iniziato a gridare".

Il terzo ferito in Beit Lahiya è un uomo di 32 anni, Mohammed Mostafa Saman. Mohammed è sposato ed ha due figli, un maschio e una femmina. Lo troviamo disteso su un divano con il piede fasciato. Anche lui è stato colpito dal vetro in frantumi di una finistra sotto cui dormiva. Ha avuto 7 punti, il dottore ha detto che potrà
toglierli dopo una decina di giorni.
Suo figlio di 4 anni, Feras, è traumatizzato. E' disteso su un divano sotto una piccola coperta ed i suoi occhi sono spaventati. La sua temperatura è alta, il dottore ha detto che la febbre è dovuta solo allo spavento.

Ci siamo poi diretti verso Jabalia. Qui un missile ha colpito la casa di Ammar Abo Warda. L'abitazione si trova vicino la scuola elementare di Jabalia Enazleh. I vetri della scuola sono crollati.
L'attacco è avvenuto verso le 2,15 del mattino.
Al piano terra dell'abitazione molte pareti sono crollate. Il secondo piano è in parte danneggiato, ma è possibile continuare a viverci. Il proprietario dell'abitazione ci ha riferito che l'ingegnere ha consigliato di lasciare la casa, perché l'attacco ne ha colpito le fondamenta, ma non la lasceranno perché non hanno un altro posto dove poter andare.
In Jabalia due donne, Najah Safy e Mona Gamem, hanno subito forti shock e molte case sono state danneggiate.

Questo è il bollettino, "lieve" rispetto agli altri, della notte di venedì.
Israele ha dichiarato nei suoi comunicati di aver voluto colpire fabbriche di armi, noi abbiamo visto sul posto che gli edifici colpiti sono un negozio di alimentari ed una abitazione.
Intanto, i caccia e gli apaches continuano a sorvolare il cielo sulla Striscia di Gaza.


Wadee Mahmoud Al-Ashquer, 3 anni, ha il viso graffiato dalle schegge


Haya Fadel Taha, 3 anni, è rimasta ferita all'orecchio sinistro


il negozio colpito in Beit Lahiya

Mohammed Mostafa Saman, 32 anni


Feras, uno dei figli di Mohammed Mostafa Samana, ha la temperatura alta per lo spavento
una delle abitazioni danneggiate
l'abitazione colpita in Jabalia


l'abitazione colpita in Jabalia


mercoledì 1 febbraio 2012

Ogni martedì manifestiamo al confine di Erez, in Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza.

La manifestazione è iniziata verso le 11.00. Ci siamo diretti verso la No Go Zone.
La No Go Zone è un'area che si estende lungo l'intero confine con Israele a nord e ad est della Striscia di Gaza, dentro il territorio palestinese. La No Go Zone imposta da Israele è a tutti gli effetti illegale ed impedisce ai contadini palestinesi l'accesso a gran parte della terra a cui hanno diritto. Chi tenta di accedervi viene attaccato dal fuoco israeliano.

Questa settimana avevamo con noi strumenti musicali, tamburi ed una piccola tromba.
Abbiamo marciato nella No Go Zone sventolando le bandiere palestinesi, suonando e cantando canzoni palestinesi, come Filisteeni e Onadekom.
Abbiamo marciato su quella terra rovinata dai bulldozer israeliani, abbiamo superato grandi fossi tenendoci per mano per non scivolare a causa del fango, e siamo arrivati vicino la barriera di separazione.
Ad un certo punto, la nostra musica è stata interrotta dal suono dei proiettili israeliani.
Il fuoco israeliano ha ammutolito le nostre voci.
In silenzio abbiamo alzato le braccia al cielo.
In silenzio guardavamo verso il confine.
Solo il suono degli spari israeliani, spari che sanno di morte.
Hanno sparato verso manifestanti armati di bandiere e strumenti musicali, hanno sparato contro giovani che hanno solo la loro voce per poter chiedere giustizia e libertà per la propria terra. Ma i soldati israeliani non conoscono il nostro linguaggio, conoscono solo il linguaggio del terrore.

Dopo un po', timidamente e coraggiosamente, abbiamo ricominciato a cantare, sfidando i proiettili israeliani.
Abbiamo piantato una bandiera palestinese vicino la barriera di separazione ed abbiamo sostato lì, cantando e suonando.
In cerchio, un gruppo di ragazzi ha iniziato a ballare la Dabka.
Poi, accanto alla bandiera che abbiamo piantato, abbiamo iniziato a cantare Bella Ciao... « Una mattina mi sono svegliato, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! Una mattina mi sono svegliato, e ho trovato l'invasor... » Da italiana, ho provato un'indescrivibile emozione, cantando questa canzone con tutto il mio cuore insieme ai ragazzi palestinesi.

Al ritorno sui nostri volti c'era il sorriso, la musica ci ha dato gioia e forza, noi non ci arrenderemo mai all'assedio.

La settimana scorsa i soldati israeliani ci hanno attaccato con proiettili e lacrimogeni. Lacrimogeni fra le nostre gambe e proiettili sopra le nostre teste.

Questa è stata la nostra risposta. Il suono dei nostri tamburi contro il suono dei loro proiettili.



Noi continueremo a manifestare contro l' illegale No Go Zone, contro l'occupazione e contro l'assedio. Continueremo a manifestare con la Resistenza popolare per chiedere libertà e giustizia per la Palestina, noi continueremo a manifestare per la terra a cui i palestinesi hanno diritto.