lunedì 23 aprile 2012

E' tempo di raccogliere il grano, i contadini di Gaza si riversano a lavorare nei campi.
I soldati israeliani hanno già iniziato a sparare nelle terre lungo il confine della Striscia di Gaza.  Due feriti nei soli primi due giorni del raccolto.

Renad Salem Qdeeh, 33 anni, stava raccogliendo il grano nella sua terra quando i soldati israeliani hanno iniziato a sparare, verso le 7.30-8.00 del mattino. I contadini sono scappati, Renad ha iniziato a gridare ed è rimasta ferita alla testa quando si trovava a circa 800 metri dal confine. E'stata trasportata in una clinica in Khuza'a e la ferita le è stata saturata con 10 punti. La troviamo distesa sul letto.

"Prima ci hanno tolto 300 metri di terra, ora non possiamo lavorare nemmeno ad 800 metri dal confine, vogliono cacciarci dalle nostre terre", esordisce sua madre, che non smettere di esprimerci la sua rabbia ed il suo dolore.
"Dobbiamo guardagnare per le nostre famiglie - continua la mamma di Renad - noi aspettiamo questa stagione del raccolto per poter guadagnare. Mia figlia ha 8 bambini, li deve nutrire, non abbiamo altre risorse. Non ci lasciano vivere nelle nostre terre. Noi chiediamo supporto e protezione davanti ai soldati israeliani, per fermarli.
Siamo circondati dai soldati, sparano ovunque. Ieri un ragazzo è rimasto ferito in Khuza'a. Dove sono i diritti umani?"

Renad socchiude gli occhi. E' circondata dai familiari. Ci viene offerto del succo di frutta. Ogni persona sembra voler intervenire per poter parlare della propria condizione di vita, ogni voce sembra una richiesta di aiuto.

"Domani andrò lì a continuare la mietitura - riprende a parlare la madre di Renad - noi andremo lì comunque a lavorare anche se verremo uccisi.
Quale tipo di sentimento si può provare quando si trova la propria figlia piena di sangue?
I soldati avevano intenzione di ferirla. Dopo che l'hanno fatto se ne sono andati, volevano giusto spararle.
Abbiamo perso la maggior parte delle nostre terre. Ora rischiamo di morire anche ad 800 metri dal confine. Loro vogliono che ce ne andiamo? No, noi moriremo lì."

I parenti di Renad inoltre credono che i soldati israeliani buttino sostanze chimiche nelle loro terre. A volte ne avvertono l'odore, ma non sanno esattamente di cosa si tratti.

"Gli altri paesi possono aiutarci se vogliono - interviene la sorella di Renad - senza aiuto noi non possiamo lavorare nella nostra terra.
Hanno già preso 300 metri di terra lungo tutto il confine di Gaza, potete immaginate quanta terra abbiano preso, era terra fertile, ora è tutto distrutto."

La No Go Zone di 300 metri lungo tutto il confine, imposta unitelarmente da Israele, ha inglobato le terre dei contadini palestinesi. Alcuni hanno perso tutto.
Il giorno successivo abbiamo iniziato ad accompagnare i contadini in quello stesso settore di terra.
Il primo giorno i soldati israeliani ci hanno osservato senza sparare. Jeep correvano a grande velocità ed i soldati si sono posizionati sulle torrette che delemitano il confine, altri dietro una piccola collina. E' da quella collina che sparano più frequentemente.
Due giorni dopo però è andata diversamente. Soldati appostati sulla collina hanno aperto il fuoco nonostante la nostra presenza. Abbiamo gridato loro al megafono di smettere di sparare, ricordando loro che eravamo in terra palestinese. Ho preso la mia fotocamera ed ho girato un video in quel momento:



Il terzo giorno i soldati ci hanno osservato senza sparare. C'era continuamente movimento di carroarmati e jeep correvano a grande velocità. I contadini temono di più le jeep dei carroarmati, temono gli hummer militari più di tutto, quelli sui cui sono posizionate armi da fuoco pronte a sparare.
In questo caso posso dire, un esercito contro dei contadini. Soldati che non esitano a sparare contro uomini inermi intenti a mietere a mano il grano e a trasportarlo con le carrette trainate dagli asini.
Intanto, nel timore generale, caccia F-16 rombavano a bassa quota.
I contadini hanno potuto lavorare e ci hanno ringraziato per la nostra presenza.

Il giorno in cui è stato ferita Renad, anche Hassan Waled Shnano, 27 anni, è rimasto ferito. Ma lui non stava lavorando nei campi. Stava semplicemente camminando per andare a lavoro, in Khuza'a, in un'area a circa 2 chilometri dal confine, un'area non lontana dalla sua abitazione. Lo incontriamo all'European Hospital in Khan Younis. "E' una zona abitata, una zona sicura. Hanno iniziato a sparare dal mattino presto", ci dice Hassan. Hassan è coordinatore locale della Ngo Mercy Corps in Khuza'a, e si occupa di progetti educativi per gli studenti. Un proiettile l'ha colpito alla giuntura del femore destro.
Suo padre, che aveva respirato il fosforo bianco durante l'Operazione Militare Piombo Fuso, è morto di cancro . Hassan ha cinque fratelli ed una sorella. E'sposato ed ha due figlie.
Anche uno dei suoi fratelli, nel 2006, è rimasto ferito, a 15 anni, mentre tornava da scuola.

Questa mattina i soldati hanno sparato di nuovo sui contadini intenti a lavorare nei campi in Khuza'a.
Abbiamo accompagnato un gruppo di contadini in una terra vicina a quella dove eravamo andati finora. Nonostante gli spari i contadini hanno continuato a lavorare sentendosi protetti dalla nostra presenza. Ma i soldati hanno sparato anche in quella terra vicina, quella dove lavora anche la famiglia di Renad. Fremevo guardando i soldati sparare. Il mio cuore tremava ad ogni dannato colpo, i miei occhi volevano piangere al pensiero che qualcuno potesse rimanere ferito. Lì i soldati non hanno smesso di sparare fin quando i contadini non sono andati via, impossibilitati a raccogliere il grano sotto gli spari. Ho girato un video questa mattina appena i soldati hanno iniziato a sparare:



Ogni mattina noi torneremo in Khuza'a per accompagnare i contadini, fino a quando il lavoro nei campi non sarà terminato.
I contadini ci ringraziano continuamente. Rispondo loro con un grazie. Io mi sento di ringraziarli. Non immaginano quanto mi senta fortunata a poter stringere le loro mani, a poter guardare i loro occhi che nonostante tutto sorridono, non immaginano quanto mi senta fortunata a poter difendere il loro diritto alla vita.



la madre di Renad

Renad Salem Qdeeh, 33 anni

Hassan Waled Shnano, 27 anni
     

giovedì 19 aprile 2012

Accompagnare i pescatori di Gaza sulle loro imbarcazioni, ponendosi a loro protezione come scudi umani, consente non solo di riportare le violazioni dei diritti umani, ma anche di sentire sulla propria pelle che cosa significa vivere sotto assedio nella Striscia di Gaza.

Dal gennaio 2009, Israele ha unitelarmente imposto un limite di 3 miglia all'interno delle acque di Gaza, che, invece, secondo gli accordi di Jericho del 1994, dovrebbero estendersi fino a 20 miglia nautiche dalla costa.  Un limite di 3 miglia che è a tutti gli effetti illegale. Le navi della marina israeliana sono appostate lungo questo limite, attaccando chiunque tenti di oltrepassarlo, e spesso attaccando le imbarcazioni dei pescatori anche all'interno di questo limite. Come osservatori internazionali della barca Oliva CPS Gaza, il cui è scopo è di monitorare le violazioni dei diritti umani da parte della marina israeliana nelle acque di Gaza, siamo stati testimoni di molti attacchi avvenuti anche a due miglia nautiche dalla costa.

All'interno delle 3 miglia ormai non c'è abbastanza pesce, e le acque sono spesso inquinate.
I pescatori, soprattutto quelli che escono con le hasakas, le piccole imbarcazioni, tornano a volte con le casse quasi vuote.

Poco più di due settimane fa, siamo partititi di notte  con un peschereccio che da Gaza si è diretto a sud arrivando fino a Rafah, facendo due soste per tirar le reti all'andata e due al ritorno, e tenendosi sulle due miglia nautiche dalla costa. Dopo ore ed ore in mare consumando benzina, abbiamo portato a casa poche casse con pesce di piccole dimensioni e gamberi. I pescatori riescono a stento a sopravvivere con ciò che guadagnano da una nottata in mare contando le spese per la benzina.

Altri pescatori preferiscono invece fermarsi a 2-2,5 miglia dalla costa e pescare restando fermi. In questo caso riescono a pescare per lo più sardine, spesso di piccole dimensioni. Per poter pescare maggior quantità di pesce e di maggior dimensione, dovrebbero arrivare almeno a 4-6 miglia nautiche dalla costa.

Mentre accompagnavo i pescatori di Gaza su questi pescherecci, la marina israeliana ci ha attaccati, creando onde e sparando.
Ho registrato un video durante uno degli ultimi attacchi, è visibile qui: http://www.youtube.com/watch?v=uKIcb1TV5Xk
In questo caso la nostra imbarcazione si trovava a circa 100/150 mt di distanza dal limite delle tre miglia.

Lunedì siamo usciti di nuovo con la stessa imbarcazione. Ci siamo fermati a tirar su le reti prima di raggiungere il limite delle tre miglia. Data la scarsità di pesce, e dato che le acque erano visibilmente inquinate, abbiamo deciso di avanzare arrivando a 3,5 miglia nautiche dalla costa.
La marina israeliana ha iniziato a girare attorno alla nostra imbarcazione. I soldati accendevano il faro e poi lo spegnevano.
Con il faro spento, la nave della marina israeliana era invisibile nell'oscurità.
Non potevamo più vedere i suoi movimenti, non potevamo sapere se ci era vicina.
Ma potevamo avvertire le onde che provocava.
Coraggiosamente i pescatori hanno proseguito la pesca tirando le reti di fretta. Io e gli altri tre internazionali ci siamo appostati in maniera visibile indossando delle giacchette gialle. La marina israeliana appariva puntando il faro su di noi, poi scompariva a luci spente.

Ad un certo punto la nave della marina israeliana si è avvicinata ed ha iniziato a sparare nella nostra direzione. Un soldato al microfono ha gridato: "Tirate su l'ancora, altrimenti vi porterò ad Ashdod"
(la marina israeliana frequentemente arresta i pescatori di Gaza entro o oltre le tre miglia, trasportandoli ad Ashdod, in Israele, e confiscando le loro barche. I pescatori vengono di solito rilasciati dopo un giorno, ma senza le loro barche).
I soldati hanno continuato a sparare nella nostra direzione. Io e gli altri internazionali abbiamo alzato le braccia gridando loro di smettere di sparare.
Il capitano della nostra barca ha deciso di indetreggiare, e ci siamo fermati a 3 miglia nautiche dalla costa, per poi tornare al porto di Gaza city verso le 6.30.
Questa volte le casse di pesce erano più numerose ed i pescatori erano visibilmente contenti. Io, sorridevo emozionata. Felice, anche se timorosa di possibili ritorsioni e di attacchi mirati nei loro confronti quando non saremo stati sulla loro barca.

In mare anche avanzare di soli 100 mt oltre le tre miglia può fare la differenza.
Alcuni pescatori tentano di andare oltre il limite di questa prigione, per poter guadagnare e sostenere le proprie famiglie.
Superare il limite delle 3 miglia nautiche dalla costa significa imbattersi nell'esercito israeliano.
Un esercito contro dei pescatori.
Soldati che non esitano a sparare contro uomini inermi a piedi nudi intenti a tirare su le reti nelle acque a cui hanno diritto.
Questo è l'assedio di Gaza.

Sono onorata di accompagnare questi pescatori tanto coraggiosi e dignitosi.
I loro occhi parlano della loro sofferenza, ma allo stesso tempo esprimono tutta la loro forza, e me la trasmettono.
Domani ci aspetta un'altra notte in mare, e tante altre ancora, condividendo con loro il freddo ed il cibo, il timore ed il coraggio, e la speranza di portare a casa un pezzettino di libertà.


Video dell'ultimo attacco:







la marina israeliana insegue pescatori (foto che ho scattato dalla barca Oliva durante una recente missione)





mercoledì 11 aprile 2012

Venerdì 30 marzo, nel Land Day, Gaza si è unita alla Global March to Jerusalem  in ricordo delle proteste contro la confisca delle terre palestinesi da parte di Israele del 30 marzo 1976 in cui 6 palestinesi furono uccisi e centinaia furono i feriti.
A Gaza questa giornata ha avuto il colore del sangue ed il suono dei proiettili israeliani.

Ci siamo ritrovati tutti in Beit Hanoun, per dirigerci al confine di Erez. Tante persone non hanno potuto proseguire la marcia a causa del blocco creato dalla polizia.
Tuttavia mentre eravamo lì abbiamo saputo che tanti ragazzi erano riusciti ad arrivare al confine, ed abbiamo saputo di feriti. E così, per vie alternative, superando il blocco, li abbiamo raggiunti.
Ciò che ho visto dopo è al limite della follia.

Un gruppo di giovani manifestavano cantando, alcuni semplicemente presidiavano, seduti o in piedi, altri tentavano di portar via una rete di filo spinato, alcuni tiravano pietre in segno di protesta, pietre che comunque non avrebbero potuto mai raggiungere i soldati israeliani né oltrepassare il confine.

Eppure, i soldati israeliani non hanno esitato. Hanno mirato. Hanno sparato. Precisamente.

I feriti si susseguivano. Il caos. Ragazzi in motocicletta portavano i feriti velocemente verso le ambulanze e poi tornavano indietro.

I soldati sparavano alle braccia, alle gambe.
Ho visto le smorfie di sofferenza, ho sentito le urla di dolore.

Anche Mahmoud Zaqout, 19 anni, era lì con noi.
Anche a Mahmoud hanno sparato. Ma è stato colpito dritto al petto.

Mahmoud avrebbe compito 20 anni il 19 aprile.

Dopo quella terribile giornata siamo andati a trovare la sua famiglia.
Mahmoud si era diplomato e lavorava nel suo negozio vicino casa.
Era un ragazzo calmo, un ragazzo amorevole, ci dice Mohammed, il padre, "Mahmoud aveva 19 anni ma era ancora un bambino".
Era amato molto dai bambini, e dai suoi fratelli e dalle sorelle, giocava sempre con loro.
Mahmoud era il decimo di 12 figli.

I genitori raccontano che Mahmoud si stava preparando per la manifestazione da due settimane. Teneva molto a fare qualcosa per la causa palestinese.
Quattro giorni prima si era scattato una fotografia ad aveva chiesto alla sua famiglia di utilizzare quella immagine nel caso in cui fosse stato ucciso.
La famiglia di Mahmoud pensava che stesse scherzando, che lo dicesse per gioco.
Non pensavano potesse accadere.
Forse invece Mahmoud se lo sentiva. O forse semplicemente sapeva che chi va al confine a manifestare rischia la vita sotto il bersaglio dei proiettili israeliani.

Venerdì, dopo la preghiera, Mahmoud è andato alla manifestazione.
La mamma ci racconta che prima di uscire le aveva detto: "Se torno tardi conservamo il pranzo".
Queste sono state le sue ultime parole rivolte alla madre.

Mahmoud stava cercando di porre una bandiera al gate quando è stato colpito da un proiettile israeliano.
E'stato trasportato al Kamal Odwan Hospital. Poi, essendo gravemente ferito, hanno cercato di trasportarlo allo Shifa Hospital, ma è morto prima.

Uno dei suoi fratelli ci mostra la bandiera ancora macchiata del suo sangue.
Chiediamo a Mohammed da chi suo figlio abbia ereditato questo sentimento di lotta e di resistenza. Il padre ci dice che la loro famiglia è originaria di Askilon. Mahmoud non è il primo martire della famiglia. Un suo zio era stato ucciso durante Piombo Fuso.
Mohammed ci dice che sentono di dover lottare per i loro diritti, per la loro libertà e per la giustizia.
Tutta la sua famiglia crede che un giorno i palestinesi ritornernarro nelle loro terre.

Uno dei fratelli ci dice che Mahmoud stava aspettando con ansia il martedì successivo, 3 aprile, per poter vedere il match del Barcellona, perché Mahmoud era un supporter della squadra.
Avrebbero visto la partita insieme.

Mahmoud era consapevole della possibilità di essere ucciso, era pronto a questa idea per amore della sua terra.
Ma allo stesso tempo Mahmoud pensava al suo futuro, e come tutti i ragazzi della sua età, pensava anche a guardare la partita della sua squadra insieme ai parenti e agli amici.

"La perdita di Mahmoud è stata un disastro per tutta la nostra famiglia - ci dice il padre - ma ora Mahmoud è con Dio e speriamo che stia meglio.
In Cisgiordania più di 300 persone sono rimaste ferite. Lì i soldati israeliani hanno utilizzato proiettili di gomma. A Gaza vi sono gli F-16 e i soldati utilizzano proiettili veri, a Gaza i soldati sparano per uccidere i palestinesi", conclude Mohammed.

Chiedo infine ai familiari se si sentono di lasciare un messaggio alla comunità internazionale.
Mohammed, il padre, ci dice: "Io voglio sapere che cosa ha fatto Mahmoud per dover essere ucciso da Israele.
Ringraziamo per la solidarietà e ringraziamo gli internazionali che sono qui per supportare i palestinesi."
Nedal, uno dei fratelli di Mahmoud, interviene: "Se mio fratello fosse stato un soldato ed avesse ucciso un ragazzo israeliano, quale sarebbe stata l'opinione delle persone del mondo intero?
Questa domanda è rivolta sopratutto ai governi degli altri paesi. Anche io vorrei sapere che cosa ha fatto Mahmoud per dover essere ucciso."

Chiedo ad Haiaa, la madre di Mahmoud, come si sente. Con occhi ancora increduli, mi risponde "Ho un fuoco nel cuore. Ogni giorno vado nella sua stanza, ogni giorno mi avvicjno al suo letto e poi inizio  a piangere".

La mamma di Mahmoud mi accompagna nella stanza del figlio. Mi mostra il suo computer, ne accarezza lo schermo. Mi mostra un piccolo mobile su cui sono poggiati i suoi oggetti. Un dentifricio, lo spazzolino, un pettine, una spazzola, un gel per i capelli. Prende il dentifricio, me lo porge, lo rimette al suo posto, dov'era prima. 
Mi mostra i jeans di Mahmoud appesi ad un attaccapanni, li accarezza. I suoi jeans sono ancora lì al loro posto.
La mamma di Mahnoud tiene la sua stanza in ordine e così come lui l'ha lasciata, come se lui fosse ancora vivo, come se dovesse tornare.
Sentivo mancare il respiro davanti al suo dolore.
L'ho abbracciata, un abbraccio pieno di sentimento di impotenza, consapevole che il mio abbraccio non avrebbe mai potuto alleviare il suo dolore, consapevole che nulla potrà mai riportarle suo figlio.

Martedì il Barcellona ha vinto. Mahmoud non ha potuto più essere lì seduto sul divano di casa a guardare la partita, ma forse lassù avrà sorriso. Ora aspetterà che arrivi la vittoria più grande, per veder riconosciuti i diritti del popolo palestinese.

Mahmoud Zaqout, 19 anni

i genitori di Mahmoud ed alcuni dei suoi fratelli


la madre di Mahmoud mostra la camera del figlio





in questo poster, la foto che Mahmoud si era scattato nei giorni precedenti alla manifestazione


Un video che ho girato durante la manifestazione