giovedì 27 dicembre 2012


Nei giorni dell' Operazione israeliana "Pillar of Cloud" (14-21 novembre 2012), il 20 e 21 novembre 2012 missili israeliani hanno colpito i piani VI e VII dell'edificio Namaa ( عمارة نعمة ) di 8 piani in Rimal al centro di Gaza city, provocando danni agli uffici interni dei media e aziende di advertising. 

Durante l'attacco del 21 novembre un frammento di uno dei missili ha colpito ed ucciso un bambino di due anni in una casa all'altro lato della strada, e ferito suo fratello e suo cugino.  
Abdul Al Rahman Naeem aveva 2 anni. Era nato il 6 gennaio 2010.

Ho incontrato il padre del bambino, il Dr. Majdi Naeem.
Il Dr. Majdi Naeem lavora allo Shifa hospital, nel reparto traumatologico, sezione skin diseases (malattie della pelle).
Il 21 novembre 2012, dopo le 14.00 stava tornando a casa per riposare qualche ora e stare con la famiglia.

Tutta la sua famiglia, compresa la famiglia di suo fratello, era raccolta nella living room dell'appartamento.
Verso le 14.45 hanno sentito un'enorme esplosione. I vetri dell'abitazione si sono frantumati a causa dell'esplosione.
Uno o forse due missili avevano colpito l'edificio Naama, a 15 metri di distanza dal loro edificio.

"Eravamo tutti nella living room, la stanza più sicura della casa. Dopo l'esplosione tutta la famiglia ha iniziato a piangere", racconta il Dr. Naeem.

Uno dei nipoti del Dr. Naeem,  Sami, 16 anni, aveva problemi al respiro, era stato colpito da un frammento alla schiena . "L'ho preso e sono corso fuori direttamente verso l'ambulanza", racconta il Dr. Naeem. Sapeva che vi erano altri feriti in famiglia, almeno 1-2 bambini, ma è corso direttamente allo Shifa hospital con suo nipote.
In ospedale Sami ha ricevuto radiografia ed è stato sottoposto ad operazione chirurgica.

Il dr. Naeem poi in ospedale ha chiesto dei suoi figli e di un bambino che era stato portato in ospedale. 
Gli è stato detto che era suo figlio Abdul di 2 anni.
Il bambino era stato portato in un'altra stanza. Era morto. "Aveva emorragia di sangue dalla bocca, piccoli frammenti erano entrati nell'addome, nel petto, avevano colpito gli organi interni, è arrivato in ospedale morto", afferma il padre.

Anche un altro figlio del dr. Naeem era rimasto ferito durante l'attacco. Mahmoud, 15 anni, era rimasto ferito al ginocchio ed è stato sottoposto ad operazione chirurgica allo Shifa hospital.

"All'interno dei frammenti vi sono materiali di metallo, ringraziamo Dio che solo uno dei miei figli è morto. Migliaia di frammenti si erano riversati nel nostro edificio", continua  a raccontare il Dr. Naeem. 
Afferma che il suo edificio è probabilmente l'edificio più sicuro in tutta Gaza city.
Tutti i parenti della famiglia si erano raccolti a casa del dr. Naeem, proprio perché considerato il posto più sicuro.

"Io voglio sapere perché gli israeliani hanno ucciso mio figlio. 
Ma la mia vita deve continuare. Ho riparato tutte le finestre e messo nuovi vetri, per poter continuare la mia vita. Dopo 3 giorni sono tornato a lavoro", continua il Dr. Naeem.

Il dr. Naeem ha 3 figli maschi e 3 femmine. "Tentiamo di dare loro supporto psicologico", afferma.
Capisco in quel momento che anche il rimettere subito nuovi vetri all'abitazione è un gesto di rassicurazione verso i suoi figli.

"Noi viviamo a Gaza, è il nostro destino, è la nostra vita.
Io cerco di essere forte, lo ero anche con mio figlio morto fra le braccia. Mi manca mio figlio ma ho ricevuto meno dolore di altre famiglie. Durante questa guerra non c'era nessun posto sicuro a Gaza. Noi siamo qui, Dio ci ci ha salvato", queste le ultime parole che mi ha concesso.

Il dr. Naeem spiega che durante l'Operazione Piombo Fuso, quattro anni fa, gli attacchi erano avvenuti soprattutto nelle aree al confine. Durante l' Operazione Pillar of Cloud invece, l'aviazione militare israeliana ha bombardato ovunque in centro città, ovunque si era in pericolo.

L'esercito israeliano aveva giustificato l'attacco al settimo piano del Naama building dicendo che fosse usato da Hamas come centro di intelligence.  Il 1 dicembre, Human Rights Watch, a seguito di un'indagine, non ha trovato alcuna prova che fosse usato in operazioni militari. Le forze israeliane hanno bombardato il sesto piano il 20 novembre alle 11.00 circa, e il settimo piano il 21 novembre verso le 3.00 del pomeriggio.  

Il Dr. Naeem affronta il dolore in maniera molto forte. Ma quello stesso dolore tornava a salire forte nei suoi occhi e nella sua voce, ed ha voluto presto terminare di raccontare ciò che era successo quel giorno.

L'ho salutato ringraziandolo ed ho sentito le gambe tremare andando via. Riascoltavo le esplosioni ed il suono dei vetri in frantumi, con quella consapevolezza di cui parlava il Dr. Naeem di essere tra i "salvati", ed allo stesso tempo con un senso di preoccupazione per il futuro di queste persone.
Il Dr. Naeem ha ricostruito le finestre della sua abitazione, in Gaza si pensa alla ricostruzione degli edifici distrutti, chi può ha già iniziato. A distanza di 4 anni da Piombo Fuso, Gaza ricostruisce e si rialza ancora dalle macerie, sperando in un futuro sereno.



Dr. Majdi Naeem


video in cui si vede il Dr.Naeem trasportare il corpo del figlio in obitorio


foto del piccolo Abdul al Rahman Naeem


martedì 25 dicembre 2012

Due pescatori sono stati arrestati nelle acque di Gaza, domenica 23 dicembre 2012, e la loro barca è stata confiscata.

I fratelli Mohammed Ahmed Zidan, 31 anni, e Ahmed Zidan Zidan, 26 anni, entrambi del campo rifugiati di Shati camp stavano pescando a circa 5 miglia dalla costa quando una nave della Marina militare israeliana ha fermato la loro piccola imbarcazione.

Mohammed ci racconta che erano partiti dal porto di Gaza city verso le 5.00 del mattino. Verso le 15.30 sono stati intercettati dall'esercito israeliano.
"Non potevamo scappare - racconta Mohammed - perché il motore della nostra barca è solo di 10 cavalli".
La nave della marina militare israeliana ha iniziato a muoversi in modo circolare attorno alla loro barca creando così onde.
"Ho gridato loro che eravamo all'interno delle 6 miglia", continua a raccontare Mohammed.
Tuttavia i soldati israeliani non si sono fermati, ed il capitano della nave israeliana, in ebraico e con linguaggio del corpo, ha ordinato ai 2 pescatori di togliersi i vestiti e di tuffarsi in acqua.
"La nave israeliana era a circa 70 metri da noi, il capitano ci ha ordinato di tuffarci in acqua, ma l'acqua era molto fredda", continua Mohammed. Quando la nave militare israeliana si è avvicinata, Mohammed si è tuffato ed i soldati hanno lanciato in acqua un salvagente.

Una volta saliti a bordo della nave militare israeliana, i due pescatori sono stati ammanettati ed incappucciati. Dopo circa 45 minuti sono arrivati al porto di Ashdod in Israele.
"Non sapevo nulla della mia barca - racconta Mohammed - mio cugino poi mi ha detto di aver visto due piccole imbarcazioni israeliane prenderla e trascinarla verso Ashdod".

Nel porto di Ashdod i due pescatori sono stati smanettati e sbendati e sono stati portati in una piccola stanza, successivamente è stato fatto loro un controllo medico, per verificare temperatura e pressione del sangue.
Un soldato ha chiesto a Mohammed il numero della carta d'identità, ma Mohammed non lo ha fornito, il soldato allora gli ha chiesto il numero di cellulare, dicendo che l'avrebbero contattato per restituirgli la barca, Mohammed allora gli ha dato il numero di cellulare di suo padre.
Un' ora dopo i soldati hanno ammanettato i due pescatori alle mani ed ai piedi, li hanno nuovamente incappucciati, e li hanno trasportati ad Erez, dove i due pescatori sono stati sottoposti ad interrogatorio.

Durante questi "interrogatori", gli investigatori israeliani usano estorcere ai pescatori informazioni su Gaza e persone di Gaza. Raccogliere informazioni è lo scopo degli interrogatori israeliani e il motivo principale per cui i pescatori vengono arrestati.

I due pescatori sono stati interrogati singolarmente, ma sono state fatte loro le stesse domande.
Gli investigatori israeliani hanno mostrato loro due mappe, informazioni su persone della famiglia e fotografie di abitazioni. Mohammed ha risposto loro che non conosceva le abitazioni mostrate, anche perché le foto sono state scattate da aerei in volo.
Poi i pescatori sono stati rilasciati verso le 22.30 di sera.

"Ad ogni barca confiscata, almeno 2-3 famiglie rimangono senza mezzi necessari per vivere", ci dice Zacaria, volontario nell' Union of Agricultural Work Committees.
Queste famiglie non sanno più come sfamare i loro figli.

L'intera famiglia Zidan è composta da 20 persone, tre famiglie, quella del padre Ahmed (60 anni), e quelle dei due figli pescatori Mohammed e di Zidan incluso i bambini.
Quattro persone della famiglia sono pescatori.

La vita di tutti dipendeva da quella piccola barca.
Era l'unica barca con cui potevano lavorare.

L'assurdità sta ora nel fatto che i soldati israeliani, una volta confiscata l'imbarcazione dei pescatori, chiedono ai pescatori di pagare il prezzo del posto barca nel porto di Ashdod.
In pratica, i soldati israeliani confiscano la barca, la portano al porto di Ashdod in Israele, e per rilasciarla richiedono il pagamento del posto barca nel porto di Ahdod. Tale prezzo supera il costo della barca.
I pescatori non possono affrontare una simile spesa.
Inoltre, quando Israele rilascia le barche, le rilascia senza motore. 

Mohammed racconta anche che 6 mesi fa i soldati della Marina israeliana hanno preso le loro reti in mare.

"Hanno imposto il limite di 6 miglia ora, ma non ci hanno dato la libertà, continuano ad arrestarci", afferma Mohammed. "Vorrei chiedere alle istituzioni internazionali di agire per fermare questi attacchi. Sei miglia equivalgono a 3 miglia per i pescatori, chiedo che fermino questi attacchi. Siamo 20 persone e non sappiamo più come vivere".
La famiglia Zidan sta affrontando il momento più difficile ora, perché vivono già in condizioni di povertà, ora non hanno più nulla con cui poter vivere.

Cinque giorni prima, il 17 dicembre 2012, altri due pescatori erano stati arrestati e la loro barca era stata confiscata. I due pescatori sono Mos'ad Abdul Razeq Baker, 38 anni, e suo nipote Mohammed Tareq Abdul Razeq Baker, 20 anni, che stavano pescando a circa 7 miglia nautiche dalla costa. I soldati avevano sparato e Mos'ad era rimasto gravemente ferito da un proiettile alla gamba sinistra ed è stato trasportato al Barzilai Medical Center in Ashkelon, in Israele, mentre suo nipote è stato arrestato ed interrogato. La loro barca, no. 12935 è stata confiscata.  Il mio report sull'attacco qui: http://ilblogdioliva.blogspot.co.il/2012/12/un-pescatore-palestinese-ferito-dalla.html 


Gli accordi per il cessate il fuoco del 21 novembre 2012 hanno stabilito che le forze militari israeliane devono "astenersi dal colpire i residenti nelle aree lungo il confine" e "cessare le ostilità nella Striscia di Gaza, via terra, via mare e via aria, compreso le incursioni e le uccisioni mirate." Inoltre le autorità israeliane avevano dichiarato che i pescatori palestinesi avrebbero potuto raggiungere le 6 miglia dalla costa (mentre prima della guerra ai pescatori era concesso arrivare solo a 3 mgilia). 
Tuttavia attacchi militari israeliani via terra e via mare si sono susseguiti a partire dal giorno successivo al cessate il fuoco, ed aerei militari israeliani hanno sorvolato costantemente il cielo della Striscia di Gaza.



                            Mohammed Ahmed Zidan, 31 anni, e Ahmed Zidan Zidan, 26 anni

mercoledì 19 dicembre 2012


Lunedì 17 novembre altri due pescatori sono stati arrestati, di cui uno è rimasto ferito dal fuoco dell'esercito della Marina militare israeliana. 

E' davvero difficile raccontare in maniera giornalistica ciò che è successo ad una famiglia che considero come la mia.

Quella che sto per raccontare è una vicenda dei coraggiosi pescatori di Gaza, e l'ennesimo vile attacco dei soldati israeliani contro civili inermi.

Il 17 novembre 2012, un gruppo di pescatori su una decina di piccole imbarcazioni avevano deciso di oltrepassare il limite delle 6 miglia nautiche dalla costa, nella speranza di portare a casa una maggior quantità di pescato.
Questo nuovo limite, imposto dopo l'offensiva militare Pillar of Cloud, seppur va ad allentare le restrizioni nel mare di Gaza (restrizioni che imponevano ai pescatori un limite di 3 miglia nautiche), tuttavia non va ad apportare nessun cambiamento positivo per i pescatori di Gaza, che per ottenere beneficio dovrebbero raggiungere almeno le 8-12 miglia nautiche dalla costa.
I pescatori di Gaza hanno il diritto di raggiungere le 20 miglia nautiche dalla costa secondo gli accordi di Jericho (sotto gli accordi di Oslo), accordi che non vengono presi in considerazione dalle autorità israeliane.

Superare il limite imposto da Israle significa imbattersi nell'esercito della Marina militare israeliana che non esita a sparare sui civili inermi.

E' quello che è successo ai due pescatori Mos'ad Baker, 38 anni, e suo nipote Mohammed Tareq Baker, 19 anni.

Quella mattina i pescatori erano arrivati a più di 7 miglia nautiche dalla costa quando 2 navi della Marina militare israeliana avevano iniziato ad attaccarli.

Mohammed Tareq Baker ci ha raccontato che erano partiti dal porto di Gaza city verso le 5.00 del mattino. Verso le 7.00 avevano lanciato le reti, verso le 8.00 le navi della marina militare israeliana avevano iniziato ad attaccare la loro barca, mentre le altre imbarcazioni di pescatori erano riuscite a scappare.
Da una delle navi i soldati israeliani avevano iniziato a sparare, mentre un'altra nave girava attorno alla loro barca per creare onde. "Le onde arrivavano sulla nostra barca", ha raccontato Mohammed.
I due pescatori a bordo hanno tagliato le loro reti per cercare di scappare. I soldati però continuavano a sparare ordinando ai pescatori di fermarsi.
Mos'ad Baker, zio di Mohammed, aveva rifiutato di fermarsi, tentando di scappare.
Un soldato però ha sparato alla sua gamba. 
Ferito, Mos'ad è caduto, ed ha chiesto a Mohammed di fermare il motore della barca.

"Il capitano della marina israeliana gridava e i soldati sparavano sopra le nostre teste, ad una distanza di circa 10 metri", ha riportato Mohammed. Poi sono stati raggiunti da due gommoni israeliani, definiti "ninja" dai pescatori di Gaza. I soldati hanno chiesto a Mos'ad di salire a bordo di un gommone. "Ho cercato di aiutare mio zio ferito, ma un soldato mi ha puntato l'arma contro", ha continuato a raccontare Mohammed. I soldati poi hanno chiesto anche a lui di salire a bordo dell'imbarcazione, e lo hanno bendato ed ammanettato.
Successivamente hanno chiesto loro di salire a bordo di una delle navi grandi della marina militare.
Durante il passaggio, i soldati gli avevano tolto la benda. Mohammed così ha visto sulla nave il soldato che aveva sparato a suo zio.Intanto un gommone israeliano ha trascinato la barca dei pescatori al porto di Ahsdod in Israele.
Sulla nave israeliana i soldati hanno dato a Mohammed un kiwi e dell'acqua, e poi l'hanno incappucciato e ammanettato.
"Mentre mangiavo il kiwi, ho visto di nuovo il soldato che aveva sparato a mio zio - ha raccontato Mohammed - ed ho gridato contro di lui". 
Successivamente i due pescatori sono stati portati ad Ahsdod in Israele. 
Mohammed è stato trasportato all'interno di una sala in cui vi erano 4 soldati uomini e 5 soldatesse.
Hanno iniziato ad interrogarlo. Gli hanno chiesto perché avessero superato il limite delle 6 miglia e poi gli hanno chiesto informazioni sui membri della sua famiglia.
Dopo l'interrogatorio, ha ricevuto un altro interrogatorio da parte della sicurezza interna israeliana da cui ha ricevuto le stesse domande.
Otto ore dopo, Mohammed è stato trasportato ad Erez, dove ha passato circa 30 minuti in una jeep israeliana, ammanettato alle mani ed ai piedi, e successivamente ha subìto un terzo interrogatorio.
Gli sono state poste di nuovo le stesse domande. Mohammed allora, alla domanda sul perché avesse superato le 6 miglia dalla costa, ha controbbatutto chiedendo il motivo per cui prima vi era un limite di 3 miglia ed ora un limite di 6 miglia, facendo intendere che il fatto di aver imposto ora 6 miglia mostrava che il limite delle 3 miglia precedentemente imposto non era supportato da nessun motivo reale di sicurezza. Il soldato israeliano gli ha risposto semplicemente che hanno deciso di imporre le 6 miglia, senza fornire alcuna spiegazione, e Mohammed allora gli ha risposto che i pescatori hanno deciso di oltrepassare le 6 miglia. Alla fine di questo diverbio, il soldato ha detto a Mohammed: "Se supererai le 6 miglia di 200 metri spareremo alla tua testa".
Agghiacciante la violenza fisica e psicologica dell'esercito israeliano contro i civili di Gaza.

Mohammed è stato rilasciato ed è tornato a casa, mentre suo zio Mos'ad è stato ricoverato all'ospedale Barzilai in Ashkelon, in Israele. 

Verso le 19.00 mi trovavo a casa di Mohammed con la sua famiglia quando abbiamo saputo che suo zio Masad era stato rilasciato dall'ospedale e stava per essere portato ad Erez. 
Ne siamo stati felici ed abbiamo aspettato il suo arrivo. Mos'ad è stato trasportato allo Shifa hospital, dove l'abbiamo raggiunto ed abbiamo parlato con i dottori.

Il proiettile è entrato dalla gamba sinistra. 
Il dr. Asaad dello Shifa hospital ci ha comunicato che le condizioni di Mos'ad sono stabili. "La ferita è avvenuta in un'area molto pericolosa, è stato fortunato", ha detto il dottore. Il dottore ha detto che ora la ferita è aperta da entrambi i lati e che Mos'ad necessita medicazione con antibiotico ogni giorno. Forse in 2 settimane potrà camminare di nuovo. 

Mos'ad Baker, 38 anni

Mohammed Tareq Baquer, 19 anni


I report rilasciati dall'ospedale israeliano Barzilai.
Nei report israeliani, in ebraico, viene riportato che Mos'ad è stato ferito alla gamba sinistra da proiettile dell'esercito israeliano. Il report riferisce che il proiettile è stato estrapolato e che la ferita è stata chiusa con punti che potranno essere tolti dopo una settimana. Masad inoltre deve seguire trattamento con antibiotico, tra cui è consigliato l 'Augmentin.








Il figlio più grande di Mos'ad, Odaih, ha 11 anni. "Se suo padre non sarà più capace di lavorare, sarà lui a dover prendere il suo posto", ci ha detto un familiare.
Odaih è stato con noi tutto il tempo mentre aspettavamo che suo padre fosse rilasciato. Quando gli ho chiesto quali fossero i suoi sentimenti, ha risposto che era preoccupato per suo padre, ed era anche spaventato dai bombardamenti dell'ultima guerra.
Odaih ad 11 anni ha già visto due guerre, come tutti i bambini della sua età, e suo padre ha rischiato la vita per poter sfamare la sua famiglia.
Quando ha sentito che poteva prendere il posto di suo padre, Odaih sorrideva timidamente.

Noi continueremo a seguire le condizioni di suo padre e saremo vicini alla famiglia, per far sentir loro che non sono soli.
Io come internazionale chiedo al governo italiano e alle istituzioni europee di intervenire per porre fine a queste assurde violenze contro i pescatori, i contadini, e tutta la popolazione civile di Gaza. 


sabato 15 dicembre 2012

Ieri 14 dicembre 2012, verso le 14.30-15.00 del pomeriggio, un giovane di 22 anni, Mohammed Salah Qudaih, si trovava nella terra della sua famiglia in Faraheen, a sud della Striscia di Gaza.
La terra dista non più di 300 mt dal confine con Israele.
Mohammed Salah racconta che c'erano jeeps israeliane lungo il confine, e soldati israeliani avevano gridato ai contadini di andar via. Poi i soldati hanno iniziato a sparare. Tre soldati sono scesi da una jeep, poi uno ha imbracciato l'ama da fuoco ed ha iniziato a sparare. Questo soldato ha sparato al  braccio destro di Mohammed.
Mohammed è stato trasportato all'European hospital in Khan Younis, dove ha passato la notte ed è stato rilasciato oggi.
Il proiettile è entrato dalla parte posteriore del braccio ed è uscito dalla parte anteriore.
I dottori dicono che guarirà in un mese.

Mohammed è un cugino del giovane palestinese ucciso dai soldati israeliani due giorni dopo la tregua, Anwar Qudai,  20 anni.  Qui ne trascritto la storia: http://ilblogdioliva.blogspot.co.il/2012/11/anwar20-anni-ucciso-al-secondo-giorno.html  

Mohammed dice che i contadini si recano in quelle terre quasi ogni giorno.
Prima degli accordi per il cessate il fuoco, non potevano accedere a quell'aerea da circa 12 anni.

"Vorremmo essere liberi di andare alle nostre terre senza correre pericoli", afferma Mohammed.
Per lui il cessate il fuoco non ha alcun senso, perché i soldati continuano a sparare nonostante gli accordi.
"Due giorni dopo il cessate il fuoco hanno ucciso Anwar. Io credo che i soldati avrebbero voluto uccidere anche me", continua Mohammed.

La famiglia di Mohammed è composta da 15 persone, Mohammed ha 5 fratelli, 4 figlie sorelle, e 2 zie che vivono nella stessa casa.  Cinque persone della famiglia lavorano in quella terra.

Durante l'incontro con Mohammed era presente anche suo nonno, Ahmad Hassan Jabor Qudaih, che ha 95 anni.
L'anziano uomo ha visto nella sua vita l'intera sofferenza del popolo palestinese. Ha vissuto atacchi, bombardamenti, ha visto suo padre essere ucciso davanti ai suoi occhi, ha perso la terra.
"Se potessi oltrepassare quella barriera di separazione al confine, riuscirei ad indicare esattamente dov'è la mia terra", afferma Ahmed.
La sua intera terra misura 500 dunums, di cui ora solo 20 dunums sono in terra palestinese, mentre il resto è stato preso dagli israeliani.
Ahmed ha ancora conservato tutti i documenti che attestano che quella terra è di sua proprietà.

Ahmed è anziano, ma la sua memoria è viva, e  racconta con precisione gli orrori che ha vissuto nel passato. 

" Nel 1948 i soldati israeliani hanno rubato 60 capre e 2 mucche, e poi hanno preso mio padre e l'hanno ucciso", racconta Ahmed.
I soldati hanno ucciso suo padre davanti ai suoi occhi.
Ahmed aveva circa 25-30 anni a quell'epoca.
"i soldati hanno distrutto anche la mia casa nel 1948, io chiedo a Dio di punirli", conclude Ahmed.
Nel corso della sua vita ha passato anche 8 anni in una prigione israeliana, dove ha subito ogni tipo di violenza, di cui porta ancora i segni sul corpo.
Lo salutiamo con la promessa di tornare a fargli visita presto, perché la sua vita racchiude gran parte delle sofferenze vissute dall'intero popolo palestinese.

Ahmed ha 95 anni, suo nipote Mohammed, ferito oggi dai soldati israeliani, ha 22 anni.

Da una generazione ad un'altra, il popolo palestinese continua a subire violenze e soprusi da parte dell'esercito israeliano, in barba ad ogni risoluzione Onu, in barba ad ogni accordo per il cessate il fuoco, in barca al diritto umanitario internazionale.


Mohammed Salah Qudaih, 22 anni, con suo nonno Ahmad Hassan Jabor Qudaih, 95 anni


Mohammed Salah Qudaih, 22 anni, con suo nonno Ahmad Hassan Jabor Qudaih, 95 anni


Mohammed Salah Qudaih, 22 anni, ferito da un proiettile al braccio destro


mercoledì 12 dicembre 2012


Forze Israeliane sparano contro contadini ed internazionali in Khuza'a

dagli attivisti della solidarietà internazionale

12 Dicembre 2012

Gaza- Forze israeliane hanno sparato con armi da fuoco e lacrimogeni contro contadini disarmati ed attivisti della solidarietà internazionale mentre lavoravano in Khuza'a, un piccolo villaggio vicino Khan Younis vicino il confine con Israele. Verso le 10:30 del mattino, i contadini sono arrivati ed hanno iniziato il lavoro arando la terra a circa 100 metri dalla barriera di separazione mentre gli internazionali si sono allineati tra la barriera ed i contadini. Subito si sono imbattuti in una jeep militare ed un veicolo da trasporto israeliani.  Un soldato israeliano ha lanciato un avvertimento in arabo avvisando di lasciare l'area e poi ha sparato due proiettili in aria. Contadini ed internazionali sono rimasti calmi ed hanno continuato il loro lavoro e i soldati israeliani hanno lasciato l'area.    
Verso le 11 del mattino, circa 20 palestinesi contadini e semplici cittadini hanno sostato a circa 300 metri dalla barriera di separazione. Due jeep militari sono tornate nella zona. Un soldato è uscito dal proprio veicolo ed ha sparato 4 volte in direzione dei contadini e degli attivisti. Il quarto colpo ha attraversato la linea formata dagli attivisti ed è atterrato nel terreno arato. Di nuovo, palestinesi ed internazionali non si sono fatti scoraggiare. Jeep israeliane si sono allontanate ed i contadini hanno finito il lavoro in questa zona di terra e si sono spostati  in un vicino appezzamento di terra.
Quindici minuti più tardi, due jeep israeliane sono tornate, una equipaggiata con mitragliatrice automatica.
Un soldato ha sparato tre colpi di gas lacrimogeno direttamente davanti agli attivisti.
Ha continuato sparando al trattore con arma da fuoco, danneggiando il motore e fermando il nostro lavoro.  Un internazionale stava accompagnando il conducente a bordo del trattore.
Il team di accompagnamento comprende attivisti dalla Spagna, dall'Italia, Francia, Inghilterra, Scozia, Germania e Stati Uniti.
Durante i due giorni precedenti, i contadini di Gaza avevano con successo arato la terra e seminato il grano in appezzamenti di terra adiacenti, con la presenza internazionale. Sebbene vi erano stati avvertimenti dalle forze israeliane di stare ad una distanza di 100 metri dalla barriera di separazione,  non erano stati attaccati con arma da fuoco in una simile maniera.  “Questo incidente è il primo esempio delle molestie e dell'imprevedibilità delle forze di occupazione israeliane che i contadini quotidianamente affrontano mentre lavorano nelle proprie terre in Gaza", ha detto un attivista spagnolo della solidarietà internazionale. Per un report dei giorni precedenti alla farming, vedere http://palsolidarity.org/2012/12/gazan-farmers-at-work-in-kuzaa/.
Residenti in Khuza'a hanno riferito che non avevano piantato in quest'area, dichiarata da Israele zona militare chiusa, da 13 anni. Precedentemente vi era un frutteto. Forze israeliane hanno spianato la terra con bulldozers molte volte nel corso di incursioni militari e regolarmente hanno sparato contro i contadini che tentavano di lavorare lì.  I contadini pensavano che l'area fosse ora accessibile in seguito agli accordi per il cessate il fuoco del 21 novembre secondo cui le forze israeliane dovrebbero "astenersi dal colpire i residenti nelle aree lungo il confine" e "cessare le ostilità nella Striscia di Gaza, via terra, via mare e via aria, compreso le incursioni e le uccisioni mirate." 
Questa è la stagione ottimale per piantare il grano e i contadini di Gaza hanno solo una piccola finestra di tempo in cui lavorare prima che la terra sia resa inutilizzabile.








Video: http://www.youtube.com/watch?v=rYxZ2lVZca8 

martedì 11 dicembre 2012


Tra le vittime della recente guerra israeliana contro Gaza, denominata "Pillar of cloud" (14 novembre 2012-21 novembre 2012) , vi sono anche tre giornalisti uccisi intenzionalmente e brutalmente in due attacchi martedì 20 novembre 2012. I giornalisti uccisi sono Hussam Mohammed Salama, 30 anni, Mahmoud Ali al-Koumi, 29 anni, uccisi in Gaza city, e Mohammed Mousa Abu Eisha, 24 anni, ucciso in Deir El Balah.

Quel pomeriggio di giovedì 20 novembre 2012, verso le 17.45, un aereo militare israeliano ha attaccato l'auto su cui viaggiavano Hussam Mohammed Salama e Mahmoud Ali al-Khoumi. I due non solo erano colleghi di lavoro, entrambi cameramen del canale televisivo al-Aqsa, erano anche amici. L'auto era chiaramente contrassegnata dalla scritta "TV", visibile anche agli aerei. I due si stavano dirigendo allo Shifa hospital per filmare l'arrivo in ospedale delle vittime degli attacchi israeliani. Proprio come io e molti fotografi/giornalisti palestinesi abbiamo fatto durante quei terribili giorni. Stessa strada, stessa voglia di testimoniare quell'orrore.


Hussam Mohammed Salama, 30 anni, Mahmoud Ali al-Koumi, 29 anni


Mohammed, il padre di Hussam, aveva gli occhi lucidi di pianto raccontando dell'attacco all'auto dove viaggiava il figlio. "Gli israeliani li hanno uccisi perché stavano testimoniando tutta la situazione. Dapprima hanno lanciato un missile, poi un secondo missile ha bruciato ogni cosa nell'auto, facendo in modo così che nessuno potesse rimanere vivo", mi racconta il padre di Hussam.
Sembra che l'aviazione militare israeliana abbia usato armi proibite dalla legge internazionale.
Il padre di Hussam racconta che il secondo missile era "silenzioso", non ha provocato alcun suono mentre arrivava sull'auto. I vigili del fuoco tentavano di spegnere il fuoco, hanno impiegato mezz'ora per estrapolare i corpi dall'auto. Il padre di Hussam racconta che quando poi ha posto una mano sul corpo del figlio, la sua mano era quasi bruciata. 
Il corpo del figlio era nero per le bruciature. "Non ho mostrato il suo viso alla madre ed alla moglie, ho coperto il suo corpo ed ho iniziato a piangere", continua il padre di Hussam.

"Voglio chiedere ad ogni persona di coscienza di giudicare chi ha li ha uccisi nelle corti di tutti il mondo, e mi rivolgo anche alle organizzazioni per i diritti umani, dove sono i diritti umani?", conclude il padre di Hussam.

Hussam Salama aveva 4 figli, Ayaa (4 anni), Hamza (8 mesi), Khitam (5 anni) e Mohammed (2 anni e mezzo). Bambini ora rimasti senza padre, ucciso perché testimoniava. Al figlio più grande, la famiglia ha detto che suo padre ora è andato in paradiso. La famiglia di Hussam non si aspettava una simile tragedia, non se l'aspettavano proprio perché Hussam era solo un giornalista. 

Quel giorno, Hussam era tornato a casa per prendere la batteria della videocamera, racconta suo padre. Due giorni prima era andato a girare un video presso l'abitazione della famiglia Al Dalu, distrutta da un bombardamento. "Era stato il primo ad arrivare sul posto - racconta il padre - per cercare di filmare quanto era avvenuto".

Tutte le organizzazioni per i diritti umani hanno visto quello che è successo. "In ogni paese, anche in America, quando uccidono qualcuno, non bruciano il corpo", continua Mohammed ricordando il corpo del figlio.

Ho fotografato il report dello Shifa hospital ed un certificato legale con i dati di Hussam. Sul suo corpo vi erano bruciature di 4°grado.





















Due missili hanno colpito l'auto su cui viaggiavano i due giornalisti.  Il secondo missile infatti, serviva solo a "bruciare" ciò che era all'interno dell'auto. Lanciare acqua provocava fuoco. Supponiamo siano state utilizzate armi proibite, armi all'uranio impoverito, armi probabilmente al fosforo bianco, durante quest'offensiva militare.
A questo proposito voglio invitare équipes di specialisti a condurre analisi per verificare le armi utilizzate.
Credo sia arrivato il momento di dire basta. Il silenzio internazionale non è che una vergognosa approvazione che consente ad Israele di utilizzare queste armi.

Successivamente sono salita al piano superiore dell'abitazione per salutare le donne della famiglia. Erano presenti anche mogli e madri di altre vittime di attacchi israeliani. La loro forza ed il loro coraggio è ammirevole. Ho incontrato anche i 4 bambini di Hussam, ora rimasti senza padre.

Ayaa (4 anni) ed Hamza (8 mesi)

Khitam (5 anni) e Mohammed (2 anni e mezzo)

Mohammed Salama, il padre di Hussam Mohammed Salama



Successivamente ho fatto visita alla famiglia di Mahmoud Ali al-Khoumi
Uno dei fratelli di Mahmoud , Belal, 24 anni, è infermiere presso lo Shifa hospital.
Si trovava nel reparto di Terapia Intensiva quando il corpo del fratello è stato portato in ospedale.

"Mahmoud era un fotografo. Nella sua vita lavorava come giornalista per la televisione Al-Aqsa - inizia a raccontare Belal - Durante l'ultima guerra, era tornato a casa solo 3-4 volte. Gli israeliani sapevano che l'auto sulla quale viaggiava era un'auto della televisione, c'era la scritta "TV" sull'auto".
Le autorità israeliane hanno comunicato di aver colpito l'auto dei due giornalisti perché i due sarebbero stati responsabili di lanci di missili verso Israele. Quando però è stato chiesto di fornire loro le prove di una simile accusa, non hanno fornito alcuna prova. Menzogne usate per giustificare i crimini contro l'umanità continuamente perpetrati dall'esercito israeliano.

Mahmoud aveva 3 figli piccoli, Hamza (5 anni), Ali (4 anni), Sohaib (2 anni), e sua moglie è incinta.
Hamza ha lo stesso nome della figlia del suo collega ucciso Hussam Salama. I due erano molto amici, oltre che colleghi, e per questo Mahmoud aveva chiamato sua figlia come la figlia di Hussam.

Suo fratello era un giornalista e "dovevano essere rispettati i suoi diritti come quelli di ogni giornalista", afferma Belal, che appellandosi ai paesi europei afferma che possiamo rivolgerci alle corti internazionali per giudicare gli assassini di suo fratello.
Conclude affermando che le organizzazioni locali per i diritti umani sono deboli, e c'è bisogno dell'intervento di organizzazioni internazionali per i diritti umani, che possano aver maggior peso.


Questi crimini hanno l'obiettivo di far tacere la stampa ed impedire ai giornalisti di riportare le violazioni dei diritti umani commessi dall'esercito israeliano contro i civili della Striscia di Gaza.

Due giorni prima dell'attacco sull'auto dei due giornalisti, il 18 novembre, 10 giornalisti erano rimasti feriti in un bombardamento che ha colpito gli uffici del canale al-Quds e della televisione al-Aqsa
Durante i giorni della guerra, molti sono stati gli attacchi contro televisioni, centri media, uffici stampa e stazioni radio per impedire la comunicazione.

Questo è il prezzo per la verità. A volte, per essere più sicuri, muovendoci verso o dallo Shifa hospital, abbiamo utilizzato una di quelle macchine marcate dalla scritta "TV", credendo erroneamente che la scritta "TV" ci avesse protetti dai bombardamenti... non sapendo che essere giornalisti significa costituire un target per l'esercito israeliano. 


Belal Ali al-Khoumi, 24 anni, fratello di Mahmoud Ali al-Khoumi




Il terzo giornalista è Mohammed Mousa Abu Eisha, 24 anni, ucciso in Deir El Balah.
Quello stesso pomeriggio del 20 novembre 2012, verso le 18.30-19.00,  dopo la preghiera in moschea, Mohammed stava tornando a casa con un amico, Hassan Yousef al-Ostaz, 22 anni.
Mousa Mahmoud Abu Eisha, 54 anni, padre di Mohammed Mousa, li aveva incontrati per strada.
"Dopo che li ho salutati, sono andato a casa, ed ho sentito un'enorme esplosione molto vicina", ha raccontato il padre di Mohammed. Il padre è andato velocemente sul posto, ed ha trovato i corpi di suo figlio e dell'amico. Un drone israeliano aveva lanciato un missile sui due giovani.
"Il corpo di Hassan era in pezzi - racconta Mousa, il padre di Mohammed - mentre Mohammed sanguinava dal naso e dagli occhi".  Mohammed era ancora vivo ma il padre sapendo che il figlio stava morendo, gli aveva chiesto di pronunciare la Shahadah, "La ilaha illa Allah, Mohammed rasul Allah" ("Non c'è nessuno meritevole di preghiera, eccetto Allah, Mohammed è il messaggero di Allah").
"Gli ho chiesto di pronunciare la Shahadah, lui l'ha pronunciata, e poi gli ho chiesto di salutare suo fratello. Mohammed ha accennato un sì muovendo gli occhi", continua a raccontare Mousa.
Il fratello di Mohammed, Emad, 18 anni, era un combattente, ed era stato ucciso nel 2002 in uno scontro a fuoco con i soldati israeliani.
Dopo circa 15 minuti, persone sono arrivate sul posto, poi è arrivata l'ambulanza, che ha trasferito Mohammed all' Al Aqsa Martyrs hospital, dove è morto dopo qualche minuto.

Mohammed Mousa Abu Eisha si era sposato 2 mesi e mezzo fa, e sua moglie è incinta.
Era manager della al-Quds Educational radio. Questa radio trasmette programmi educativi rivolti agli studenti.
Durante i giorni della guerra, i programmi si erano fermati e la radio trasmetteva la cronaca costante degli attacchi, minuto dopo minuto.
Le poche radio che durante la guerra trasmettevano informazioni degli attacchi erano necessarie per noi attivisti, per i giornalisti e per gli infermieri che potevano così prepararsi all'arrivo improvviso di vittime.
Senza le radio non avremmo potuto sapere degli attacchi che si susseguivano lungo tutta la Striscia di Gaza, e  non avremmo potuto comunicarli in tempo reale.
Un tale sistema informativo locale così veloce dava certamente fastidio alle Autorità israeliane, che non hanno esitato quindi a colpire radio, televisioni ed uffici dei media.

Nei giorni precedenti Israele aveva bombardato la Shrouk Tower, edificio dedicato ai media, ferendo molti giornalisti, nonché altri attacchi di cui ho parlato prima. Nel frattempo, forze israeliane avevano proseguito attacchi informatici contro siti di notizie palestinesi ed interferito in radio locali.


Mohammed Mousa Abu Eisha era consapevole che Israele avrebbe potuto bombardare gli uffici della sua radio, e per questo aveva detto ai giornalisti di evacuare gli uffici e di recarsi allo Shifa hospital, per essere in posto più sicuro.  Mohammed era stato uno dei fondatori della sua radio, che era nata circa un anno fa.
Il padre di Mohammed poi ha iniziato a descrivere quella giornata densa di bombardamenti, anche nell'area di Dei El Balah.

La radio di cui Mohammed era manager continuerà a lavorare, anche se la sua morte ha lasciato un grande vuoto. I suoi colleghi intitoleranno lo studio con il suo nome.

"E'stato uno shock per la madre e soprattutto per la sorella di Mohammed che a volte viene a visitare l'appartamento di suo fratello per salutarlo", prosegue  il padre.
Mohammed aveva 4 fratelli, di cui uno morto, e due sorelle.

Mousa poi ha ricordato di nuovo il corpo di suo figlio. "La temperatura del corpo era molto alta, è scesa solo dopo 10-15 minuti. Questo tipo di missili è nuovo, è proibito dalla legge internazionale". 

Di fronte all' impotenza davanti a tanti soprusi, e parlando del riconoscimento della Palestina come stato non-membro alle Nazioni Unite, il padre di Mohammed ha poi concluso: "Noi abbiamo uno stato ora, ma nei fatti, non l'abbiamo".

Noi speriamo che con organizzazioni internazionali ci si possa rivolgere alla corte penale internazionale.

Successivamente Mousa ci invita a visitare l'appartamento del figlio. Un appartamento nuovo, dal pavimento lucido, accogliente. Ci mostra le camere da letto, quella matrimoniale, e due camere per i figli che sarebbero nati dalla giovane famiglia una camera rosa per le figlie femmine ed una camera azzurra per i figli maschi.
Poi ci  mostra i vestiti di Mohammaed nell'armadio, la cucina, dove poi improvvisamente ha smesso di parlare ed i suoi occhi sono diventati gonfi di lacrime.
Quei figli non arriveranno più, perché Israele ha ucciso Mohammed.
"Prima, questo appartamento aveva sempre le luci accese, dopo la morte di Mohammed ho spento tutte le luci. Khalas, è finito tutto", ha detto Mousa.
In quell'appartamento nuovo ora rimane solo il silenzio ed il ricordo di una famiglia che non potrà mai esistere.
La moglie di Mohammed ora vive con la propria famiglia. Il bambino che ha in grembo nascerà senza padre.

Gli occhi gonfi di lacrime di Mousa provocavano dentro di me un misto di rabbia e di dolore immenso.
Dar loro voce è il minimo che io possa fare.
Noi continueremo il nostro lavoro di informazione, sempre, facendo  appello alle organizzazioni per i diritti umani perché presentino questi crimini alle corti penali internazionali.


Mousa Mahmoud Abu Eisha, 54 anni, accanto alla foto del figlio ucciso, Mohammed Mousa Abu Eisha, 24 anni

la stanza dell'appartamento di Mohammed destinata alle figlie che sarebbero nate

Mousa Mahmoud Abu Eisha nella stanza dedicata ai nipotini  maschi che sarebbero nati







Hussam Mohammed Salama, Mahmoud Ali al-Khoumi, Mohammed Mousa Abu Eisha


martedì 4 dicembre 2012


Il 18 novembre 2012, nel quinto giorno dell' offensiva militare israeliana "Pillar of Cloud" contro Gaza, il bollettino di guerra riportava 72 persone uccise, incluso 19 i bambini,  670 i feriti, la maggior parte donne e bambini.

Quel giorno l'aviazione militare israeliana ha bombardato un edificio di tre piani in Nasser street, Gaza city,
sterminando una intera famiglia.

Io mi trovavo, come ogni giorno, allo Shifa hospital. Improvvisamente le ambulanze hanno portato i corpi delle piccole vittime del brutale attacco:
Ibrahim Al Dalu, 11 mesi
Jamal Al Dalu, 6 anni
Yousif Al Dalu, 5 anni
Sara Al Dalu, 3 anni

Anche la loro madre è morta: Samah Al Dalu, 22 anni, ed il loro padre, Mohammed Al Dalu, 28 anni.
Morta anche la zia dei bimbi Ranin Al Dalu, 22 anni, e la seconda zia, Yara Al Dalu, 17 anni, il cui corpo è stato ritrovato solo 4 giorni dopo tra le macerie delle'edificio. Morta anche le due nonne, Suhila Al Dalu, 75 anni, e Tahani al Dalu, 48 anni. 
Il bombardamento sull'edificio della famiglia Al Dalu ha coinvolto anche un edificio accanto, in cui due persone sono rimaste uccise: Abdallah Mzanar, 20 anni, e Amina Mznar, 80 anni.

Un'intera famiglia sterminata. il bombardamento è avvenuto sull'intero edificio di tre piani, completamente distrutto.

Ecco alcune foto che ho scattato nell'ospedale Shifa alle piccole vittime. Era presente Yasser Saluha, fratello della madre dei bambini.

 





Lunedì 3 dicembre 2012 ho avuto modo di parlare con il fratello del padre dei bambini, Abdallah Giamal Al Dalu (20 anni). Ha raccontato di quella notte. "Ero fuori con mio padre, per poter andare a prendere del cibo, quando ho ricevuto una chiamata in cui mi era stato detto che la mia casa era crollata. Sono rimasto scioccato". Abdallah ed il padre vivevano nello stesso edificio dove viveva il resto della famiglia.
A Gaza le famiglie usano vivere insieme in uno stesso edificio. Abdallah ed il padre sono così gli unici superstiti della famiglia Al Dalu. Tutti gli altri membri della famiglia sono morti sotto le macerie.
"Sono andato a casa, l'ho vista distrutta, non riuscivo a parlare - ha continuato a raccontare Abdallah - piangevo, tutta la mia famiglia era nella casa. Poi sono andato in ospedale ed ho visto i corpi, è stato un disastro".
Gli occhi di Abdallah rivivevano ciò che avevano visto quel pomeriggio.
Tre giorni dopo il bombardamento bulldozers palestinesi hanno scavanto nelle macerie ed hanno ritrovato i corpi del padre dei bimbi, Mohammed Giamal Al Dalu e della zia, Yara Al Dalu.

Ora Abdallah ed suo padre sono in affitto presso un'altra abitazione. Non hanno letti per domrire né l'arredamento necessario, né hanno vestiti da indossare.

Abdallah ha chiesto a noi internazionali di chiedere alla corte internazionale di "investigare su quello che è successo, sui bambini e le donne uccisi in questo massacro".

Prima di andar via, ho incontrato nell'edificio un altro dei fratelli di Mohammed Giamal Al Dalu, Ahmal Giamal Al Dalu. Ahmal non si trovava a Gaza durante la guerra, ma in Turchia, dove vive con moglie e famiglia. "Vogliamo giustizia - ha detto Ahmal - vogliamo giustizia più dell'aiuto economico, perché i soldi possono arrivare. Quello che è successo non è uno sbaglio, è un crimine. Non è un comportamento umano. Non è il primo crimine, sono 64 anni che si ripetono questi crimini. Viviamo senza acqua, senza elettricità. E' abbastanza".  
Ho trascritto le sue parole nel buio dell'edificio mentre un amico illuminava il mio blocco note con la sola luce del cellulare, e l'ho salutato con la promessa di rimanere in contatto.



Abdallah Giamal Al Dalu, fratello di Mohammed Giamal Al Dalu



Qui le foto dell'abitazione bombardata





L'edificio accanto all'abitazione bombardata, in cui due persone sono morte, Abdallah Mzanar, 20 anni, ed Amina Mznar, 80 anni. L'anziana donna era su una sedia a rotelle e si trovava in cucina al momento del bombardamento. La sua sedia a rotelle è stata ritrovata fra le macerie.







La foto di Abdallah Mzanar, 20 anni, ucciso nell'edificio accanto a quello della famiglia Al Dalu.




Un poster da un edificio accanto chiede "Why were they killed?"




Nostro compito ora è quello di non permettere che si dimentichino questi crimini e di far sì che la famiglia Al Dalu abbia giustizia, portando quanto accaduto nei tribunali internazionali. 







domenica 2 dicembre 2012

Poco più di dieci giorni dalla fine della guerra. I continui attacchi dei soldati israeliani lungo il confine ed in mare sono continue violazioni degli accordi sul cessate il fuoco.

Secondo le negoziazioni (ancora in corso) sul cessate il fuoco, ai pescatori di Gaza sarebbe stato concesso di pescare fino a 6 miglia nautiche dalla costa (mentre prima veniva imposto illegalmente un limite di 3 miglia). Questo allentamento delle restrizioni imposte ai pescatori è davvero un passo importante e ne siamo tutti felici. Tuttavia, 6 miglia non sono sufficienti per i pescatori e non apportano nessuno cambiamento positivo alla loro capacità di sussistenza. Inoltre, si tratta in ogni caso di un limite illegale, perché gli accordi di Jericho (sotto Oslo) concedono ai pescatori di Gaza 20 miglia nautiche dalla costa entro cui poter pescare. Questo limite fu progressivamente ridotto da Israele. Così, lo scorso mercoledì, 28 novembre, insieme ad altri due internazionali, ho accompagnato i pescatori di Gaza nel tentativo di superare il nuovo limite di 6 miglia e poter permettere loro di pescare nelle acque a cui hanno diritto secondo Oslo.

Abbiamo raggiunto 8 miglia nautiche dalla costa. Uno dei nostri pescherecci è stato duramente attaccato con armi da fuoco da parte della Marina militare israeliana, mentre ci trovavamo nelle acque di fronte Deir El Balah, la zona centrale della Striscia di Gaza. Il peschereccio attaccato era quello su cui ho accompagnato la maggior parte delle volte i pescatori di Gaza. Eravamo a circa 7,5 miglia dalla costa, il peschereccio era dietro di noi a circa 6 miglia.  I soldati hanno iniziato a sparare pesantemente contro il peschereccio. Non posso spiegare il male che ho sentito ad assistere impotente a questa scena,la preoccupazione per i pescatori a bordo ed il dolore per la perdita del peschereccio.
I soldati israeliani questa volta non hanno usato cannonate d'acqua, hanno sparato direttamente con armi da fuoco contro i nostri pescherecci.
Ecco la foto che ho scattato quando una nave della Marina militare israeliana e due gommoni hanno bloccato il peschereccio, erano circa le 10.00 del mattino.



Il peschereccio appartiene a Murad Rajab al-Hessi,  ed a bordo vi erano Mohammad Murad al-Hessi (39 anni), Ahmed Murad al-Hessi (32 anni), e Murad Mohammad al-Hessi (18 anni), e Rajab Rashad al-Hessi (36 anni). Navi militari israeliane hanno aperto il fuoco contro il peschereccio, i soldati poi hanno ordinato ai pescatori di saltare in acqua e di nuotare fino ad una nave della marina israeliana. I pescatori sono stati arrestati ed interrogati a bordo. Dopo circa 3 ore, tutti sono stati rilasciati, tranne Mohammad Murad al-Hessi, che è stato trasportato ad Ashdod in Israele ed è stato rilasciato il giorno dopo. Il loro peschereccio è stato confiscato.

Nel frattempo altre navi della Marina militare israeliana attaccavano piccole barche dei pescatori.

Verso le 8:00 del mattino dello stesso giorno, navi della marina militare israeliana avevano aperto il fuoco direttamente su una barca dei pescatori appartenente a Khader Jamal Baker, 20 anni, mentre si trovava a circa 3,5 miglia dalla costa. La barca è stata distrutta ed il pescatore è stato arrestato ed interrogato sulla barca per circa 3 ore per poi essere rilasciato.

Verso le 11:00, navi militari israeliane hanno aperto il fuoco contro un'altra piccola imbarcazione, 3 pescatori erano a bordo. Wafdi Suheil Baker, 24 anni, mentre si trovavano a cira 5 miglia nautiche dalla costa. I soldati hanno sparato al motore della barca ed hanno arrestato i 3 pescatori: Wafdi Suheil Baker, 24 anni, Khaled Suheil Baker, 20 anni, e Mohammad Suheil Baker, 18 anni.

Verso le 12:00, navi della Marina militare israeliana hanno aperto il fuoco contro due piccole imbarcazioni di pescatori appartenenti a Mohammad Najib Baker, 60 anni, e  Tal'at Kamel Baker, 22 anni, mentre si trovavano a circa 3 miglia nautiche dalla costa. Le loro barche sono state danneggiate dai proiettili.

Il giorno successivo, giovedì 29 novembre 2012, verso le 10:15  navi militari israeliane hanno fermato una barca di pescatori a largo delle coste di Beit Lahia, mentre si trovavano a circa 5 miglia. A bordo vi erano 6 pescatori, che sono stati arrestati: Fahed Ziad Baker, 38 anni, Ihab Jawad Baker, 36 anni, Mohammad Ziad Baker, 32 anni, Nai'm Fahed Baker, 16 anni, Ziad Faged Baker, 18 anni, e Ali Alaa Baker, 18 anni.

Non si è fermata l'escalation degli attacchi sui pescatori.
Sabato 1 dicembre 2012, la Marina militare israeliana ha attaccato altre 3 barche di pescatori, 14 pescatori sono stati arrestati, di cui il più giovane ha 14 anni, e le barche sono state confiscate.
I pescatori si trovavano nelle acque di Gaza a circa 3 miglia nautiche dalla costa. 
Su una prima barca vi erano Ramez Khamis Baker, 41 anni, con suo fratello Rami, 34 anni, e 3 suoi cugini, Bayan Khamis Baker, 17 anni,  Mohammed Khaled Baker, 17 anni e Omar Mohammed Baker, 22 anni.
Una nave della marina militare israeliana aveva ordinato loro di fermarsi, ed i soldati avevano iniziato a sparare. Successivamente hanno ordinato loro di togliersi i vestiti, di tuffarsi in acqua e di raggiungere a nuoto la nave israeliana. I soldati hanno così arrestato i 5 pescatori e li hanno trasportati ad Ashdod, in Israele, dove sono stati interrogati. Sono stati rilasciati verso le 21.00 e le loro barche confiscate.


Successivamente, una nave della marina militare israeliana ha attaccato 2 barche di pescatori appartenenti a Sabri Mohammed Baker,52 anni, e Eid Mohsen Baker, 23 anni. I due uomini stavano pescando a circa 2 miglia nautiche dalla costa quando una nave della marina militare israeliana ha aperto il fuoco contro le barche. I soldati israeliani hanno ordinato ai 9 pescatori a bordo delle due barche di fermarsi, li hanno arrestati, li hanno trasportati ad Ashdod e li hanno interrogati. Verso le 21.00, otto pescatori sono stati rilasciati, mentre Emad Mohammed Baker è stato trattenuto. Le due barche sono state confiscate.
Gli altri pescatori che erano a bordo e che sono stati arrestati sono: Ramiz IIzzat Baker, 41 anni, Ramy Izzat Baker, 35 anni, Bayan Khamis Baker, 19 anni, Mohammed Khaled Baker, 18 anni, Omar Mohammed Najeeb Baker, 18 anni, Haitham Talal Baker 28 anni, Ziad Mohanned Baker,  18 anni, Walid Mohsen Baker, 18 anni, Sadam Samir Baker, 22 anni, Abdullah Sabry Baker, 14 anni, Omran Sabry Baker, 18 anni, Imad Mohammed Najeeb Baker, 35 anni.

Continuano le violazioni dei diritti umani contro i pescatori di Gaza.
Gli attacchi proseguono nonostante le autorità israeliane abbiano annunciato di permettere ai pescatori di pescare fino a 6 miglia nautiche dalla costa. Dall'inizio della tregua, 29 pescatori sono stati arrestati e 9 barche confiscate.










venerdì 23 novembre 2012

All'inizio del secondo giorno di tregua, i soldati israeliani questa mattina hanno aperto il fuoco ad est di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza, su un centinaio di persone che si erano avvicinati al confine per celebrare la fine della "buffer zone". La buffer zone è un'area di 300 metri che delimita tutto il confine della Striscia di Gaza (a volte è di 500 mt effettivi), imposta illegalmente da Israele, ed in cui ai contadini non è permesso entrare, minacciati dal fuoco dell'esercito israeliano.
Questa mattina, l'esercito israeliano ha rotto la tregua, tra le cui condizioni vi era quella di non sparare.

I soldati hanno ucciso un giovane di 20 anni, Anwar Abed El Hady Qudaih , e ferito altre 14 persone.



Siamo andati subito al funerale e poi a visitare la famiglia. Il dolore e le lacrime della madre che ci ha mostrato la foto del figlio. "Non è possibile, non è possibile", ripeteva. Anwar era andato come altre persone a festeggiare la fine della buffer zone vicino il confine. Secondo gli accordi con cui si è giunti alla tregua infatti non ci dovrebbe esistere più la "buffer zone" (detta più correttamente "No Go Zone", perché imposta unitelarmente da Israele). Ma i soldati hanno sparato, e l'hanno ucciso.


la mamma di Anwar mostra la foto del figlio



Aveva detto ad uno dei suoi familiari "Non chiudere la porta, Anwar deve tornare a casa"
Anwar non è più tornato a casa. 

Ho lasciato la famiglia di Anwar con grande dolore e successivamente ci siamo diretti tutti nella "buffer zone".
Chissà se hanno il coraggio di spararci tutti, pensavo tra me e me. 
Tante famiglie, donne, uomini, bambini, ragazzi, tutti felici di poter finalmente rientrare nella propria terra che gli era stata tolta. "Non mettevo piede qui da anni", mi ha detto un contadino. Foto, sorrisi. Un' entusiasmo commovente. Poi ancora, gli spari dei soldati. Siamo andati via. Intere famiglie, eppure hanno sparato.


Ecco oggi Gaza, tra la disperazione per le perdite dei cari e la gioia e l'entusiasmo di un briciolo di libertà che speriamo non sia solo illusione.


Resta allora ancora da capire in che modo verranno applicate le condizioni per la tregua, o se verranno completamente ignorate.

Anwar era un ragazzo di 20 anni che è stato ucciso mentre sorrideva con altri giovani della sua età gridando "vittoria" e tentado di porre una bandiera sul recinto al confine. Forse Anwar aveva confidato troppo nelle condizioni della tregua. Forse, avvicinandosi ai soldati, aveva creduto avessero un lato di umanità, e che mai l'avrebbero ucciso.

Anwar gridava "vittoria". Un soldato gli ha sparato alla bocca. La sua bocca era piena di sangue.
Che sia questo un gesto per mettere a tacere le nostre grida di libertà?

Riposa in pace Anwar.



famiglie nella "buffer zone", questa mattina