Riporto un articolo che ho scritto per Nena News: http://nena-news.globalist.it/?p=16244
E’ la vicenda quotidiana dei pescatori palestinesi confinati dalle restrizioni israeliane a gettare le reti in un piccolo tratto del mare di Gaza. E quattro di loro sabato sono stati inseguiti fin dentro le acque territoriali egiziane.
Gaza, 10 gennaio 2011 – Sabato scorso quattro pescatori sono stati arrestati dalla Marina israeliana all’interno delle acque egiziane territoriali egiziane.
I quattro – Rani Sami Baker, 29 anni, Talat Othman Baker, 46 anni, Jad Othman Baker, 35 anni e Mahmoud Yahya Baker, 23 anni -, tutti di Gaza City, erano partiti verso l’Egitto alle 8.00 del mattino dal porto di Gaza. Ci hanno raccontato di aver oltrepassato il confine marittimo e di essere entrati in acque egiziane alle 10.00 circa. A 5 miglia dalla costa hanno gettato l’ancora per una sosta. In quel momento una motovedetta della Marina militare israeliana si è avvicinata iniziando a sparare nella loro direzione. I pescatori, spaventati, hanno iniziato a dirigersi verso sud.
«La marina israeliana sparava a circa 500 metri dalla nostra barcae ci ha impedito di andare verso la costa» dice Jad Othman Baker, «hanno poi iniziato a sparare vicino la barca. Ci hanno ordinato di posizionarci davanti la loro nave, di toglierci i vestiti e di tuffarci in acqua. Faceva molto freddo. Siamo saliti sulla nave della marina attraverso una scala, lì siamo stati ammanettati, ci hanno bendato gli occhi e coperto la testa con dei sacchetti». I marinai israeliani poi ha preso la barca dei pescatori per poi consegnarla dopo circa 30 minuti ad un’altra unità che si è diretta verso Ashdod. Il viaggio da sud a nord è durato circa 30/45 minuti.
Giunti ad Ashdod sono stati separati ed interrogati singolarmente. La maggior parte delle domande poste, hanno riferito i pascatori, non riguardava l’attività della pesca ma la loro vita a Gaza. I soldati hanno inoltre chiesto loro di parlare del traffico di contrabbando dall’Egitto, ed infine, come usano fare con i pescatori arrestati, hanno chiesto loro di diventare collaborazionisti di Israele.
«Ho detto loro che siamo solo dei pescatori – continua Jad Othman – e che abbiamo solo le attrezzature per la pesca con noi. Loro lo sanno che cosa abbiamo sulle barche, sanno che abbiamo solo l’equipaggiamento. Ma il loro vero interesse è danneggiare la nostra vita. E’ una punizione collettiva contro tutti noi pescatori. Non esiste una ragione reale per attaccarci».
Abbiano chiesto a Othman perchè da Gaza vanno a pescare in Egitto? «A causa del limite delle tre miglia imposto dalla marina israeliana nelle acque di Gaza – ci ha spiegato – non c’è pesce nelle tre miglia. Se non ci fosse questo limite non andremmo in Egitto. Affrontiamo il pericolo per aiutare le nostre famiglie». I pescatori di Gaza spesso vanno nelle acque egiziane per pescare o per acquistare il pesce dai pescatori egiziani e rivenderlo poi a Gaza.
I militari israeliani sabato hanno dato ai palestinesi arrestati delle mappe in cui è indicata l’area delle tre miglia entro cui possono pescare dicendo di consegnarle agli altri pescatori. Successivamente, i pescatori sono stati fatti salire su un bus per il valico di Erez (tra Israele e Gaza). Una volta giunti, i soldati hanno impedito loro di incamminarsi per la strada principale che da Erez porta direttamente all’ufficio di coordinamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, e li hanno costretti ad entrare a Gaza per un percorso molto più lungo. Alle 23.00, in piena oscurità, i pescatori hanno così dovuto camminare per circa tre chilometri verso la postazione del confine, senza scarpe e senza giacca. Indossavano solo una t-shirt. La loro barca invece è stata trattenuta ad Ashdod. E’ stato detto loro di rivolgersi ad un avvocato per riaverla – con l’aggravio delle spese legali – ed inoltre sarebbe riconsegnata senza motore e senza equipaggiamento.
«Noi non siamo buoni nuotatori – aggiunge da parte sua Talat Othman ricordando le fasi dell’arresto subito sabato scorso – ci sono squali in quella zona, eravamo spaventati. Abbiamo così chiesto ai soldati di non farci tuffare in acqua, ma hanno rifiutato. Sulla nave abbiamo chiesto delle coperte ma non ce le hanno date. Ci sentivamo così sicuri in acque egiziane!…Non ho più dormito da quel momento pensando alla mia famiglia. Come possiamo continuare ad avere una vita normale? Come possiamo sostenere le nostre famiglie?»
Nell’abitazione della famiglia Baker è appeso un poster in ricordo di un cugino ucciso dalla marina israeliana circa un anno fa, il 24 settembre 2010, mentre pescava nelle acque di Gaza. Mohammed Mansur Baker, 20 anni, era un pescatore inesperto ed aveva un problema al cuore. «Quel venerdì, alle 6 del mattino, ci stava aspettando davanti la porta della sua abitazione per andare a pescare – racconta Rani – Lasciammo il porto alle 7 e raggiungemmo un miglio e mezzo dalla costa». All’improvviso – ricorda Rani – le forze della Marina israeliana iniziarono a sparare a caso. Ci spostammo verso nord ed incontrammo un’altra motovedetta israeliana, che inziò a sparare nella nostra direzione. Un proiettile colpì Mohammed (Mansur). Quando vidi che era ferito le motovedette israeliane erano a trecento metri dalla nostra barca. Chiedemmo loro aiuto e medicine per curarlo, parlai con il capitano, che era arrabbiato con il soldato che aveva colpito Mohammed, gli chiese perché aveva sparato direttamente su di lui.». I pescatori velocemente raggiunsero Soudania (a nord di Gaza city) ma una volta approdati sulla spiaggia si resero conto che Mohammed era morto. Più tardi gli israeliani comunicarono che i soldati non avevano intenzione di uccidere Mohammed. La sua famiglia si è rivolta ad un avvocato per intraprendere un’azione legale ma la spesa eccessiva (22.000 dollari) li ha costretti a fermare il procedimento. «Sarebbe stato meglio perdere la barca ed ogni cosa piuttosto che Mohammed. Per la vita delle persone non esiste valore», conclude Rani.
La famiglia Baker è tra le famiglie di pescatori più povere di Gaza. Jad Othman Baker, è sposato ed ha 5 bambini, il più grande di nove anni, il più piccolo di 3 anni. Mahmoud Yahya Baker è sposato e ha cinque bambini, tra uno e 7 anni di età. Rani Sami Baker è sposato e ha quattro bambini, di età compresa tra un mese e i 4 anni. Talat Othman Baker è sposato e ha una figlia di 13 anni.
I pescatori di Gaza rivolgono un messaggio alla comunità internazionale: «Abbiamo bisogno che si ponga fine all’assedio israeliano di Gaza, che costituisce il problema principale per noi. Senza l’assedio noi riusciremmo ad autosostenerci. Se avessimo lo spazio a cui abbiamo diritto, non avremmo bisogno di andare in Egitto. Chiediamo di fare pressione su Israele affinché ci lasci pescare nelle nostre acque e di porre fine a questa tragedia umanitaria. Madiamo un messaggio anche al popolo israeliano. Noi pescatori palestinesi non smetteremo mai di pescare per il nostro paese, non possiamo lasciare la nostra attività. Anche se usate armi contro di noi, ci aggredite, confiscate le nostre barche e ci arrestate, noi non ci arrenderemo mai, lo diciamo a voce alta. Noi noi rinunceremo ai nostri diritti. Apprezziamo gli attivisti internazionali che sono così vicini a noi, perché sono come degli occhi attraverso cui gli altri possono vederci e li ringraziamo e preghiamo che Vittorio Arrigoni riposi in pace in Paradiso». L’attivista italiano Vittorio Arrigoni, assassinato nell’aprile 2010 a Gaza, aveva raccontato la tragedia che aveva colpito la famiglia Baker con la perdita di Mohammed ed incontrato la sua famiglia.
Ai pescatori di Gaza non è permesso pescare oltre le tre miglia nautiche dalla costa, limite imposto da Israele. Le intese israelo-palestinesi del 1994 concedono infatti ai pescatori palestinesi un’area che si estende fino a 20 miglia nautiche dalla costa. Quest’area è stata poi progressivamente ridotta a 12 e a 6 miglia. In seguito all’Operazione militare «Piombo Fuso» contro Gaza (dicembre 2008-gennaio2009), Israele ha imposto un limite unilaterale di tre miglia nautiche.
I pescatori sono inoltre spesso vittime di aggressioni da parte della Marina israeliana, che non esita ad apire il fuoco in direzione dei pescatori. Spesso vengono arrestati e le loro barche sono confiscate. Gli attacchi avvengono anche all’interno delle tre miglia.
A causa di queste difficoltà, il numero di pescatori è andato diminuendo nel corso degli ultimi anni. Le acque interne al limite delle tre miglia sono ormai povere di pesci e i pescatori non riescono ad autosostenersi.
E’ la vicenda quotidiana dei pescatori palestinesi confinati dalle restrizioni israeliane a gettare le reti in un piccolo tratto del mare di Gaza. E quattro di loro sabato sono stati inseguiti fin dentro le acque territoriali egiziane.
Gaza, 10 gennaio 2011 – Sabato scorso quattro pescatori sono stati arrestati dalla Marina israeliana all’interno delle acque egiziane territoriali egiziane.
I quattro – Rani Sami Baker, 29 anni, Talat Othman Baker, 46 anni, Jad Othman Baker, 35 anni e Mahmoud Yahya Baker, 23 anni -, tutti di Gaza City, erano partiti verso l’Egitto alle 8.00 del mattino dal porto di Gaza. Ci hanno raccontato di aver oltrepassato il confine marittimo e di essere entrati in acque egiziane alle 10.00 circa. A 5 miglia dalla costa hanno gettato l’ancora per una sosta. In quel momento una motovedetta della Marina militare israeliana si è avvicinata iniziando a sparare nella loro direzione. I pescatori, spaventati, hanno iniziato a dirigersi verso sud.
«La marina israeliana sparava a circa 500 metri dalla nostra barcae ci ha impedito di andare verso la costa» dice Jad Othman Baker, «hanno poi iniziato a sparare vicino la barca. Ci hanno ordinato di posizionarci davanti la loro nave, di toglierci i vestiti e di tuffarci in acqua. Faceva molto freddo. Siamo saliti sulla nave della marina attraverso una scala, lì siamo stati ammanettati, ci hanno bendato gli occhi e coperto la testa con dei sacchetti». I marinai israeliani poi ha preso la barca dei pescatori per poi consegnarla dopo circa 30 minuti ad un’altra unità che si è diretta verso Ashdod. Il viaggio da sud a nord è durato circa 30/45 minuti.
Giunti ad Ashdod sono stati separati ed interrogati singolarmente. La maggior parte delle domande poste, hanno riferito i pascatori, non riguardava l’attività della pesca ma la loro vita a Gaza. I soldati hanno inoltre chiesto loro di parlare del traffico di contrabbando dall’Egitto, ed infine, come usano fare con i pescatori arrestati, hanno chiesto loro di diventare collaborazionisti di Israele.
«Ho detto loro che siamo solo dei pescatori – continua Jad Othman – e che abbiamo solo le attrezzature per la pesca con noi. Loro lo sanno che cosa abbiamo sulle barche, sanno che abbiamo solo l’equipaggiamento. Ma il loro vero interesse è danneggiare la nostra vita. E’ una punizione collettiva contro tutti noi pescatori. Non esiste una ragione reale per attaccarci».
Abbiano chiesto a Othman perchè da Gaza vanno a pescare in Egitto? «A causa del limite delle tre miglia imposto dalla marina israeliana nelle acque di Gaza – ci ha spiegato – non c’è pesce nelle tre miglia. Se non ci fosse questo limite non andremmo in Egitto. Affrontiamo il pericolo per aiutare le nostre famiglie». I pescatori di Gaza spesso vanno nelle acque egiziane per pescare o per acquistare il pesce dai pescatori egiziani e rivenderlo poi a Gaza.
I militari israeliani sabato hanno dato ai palestinesi arrestati delle mappe in cui è indicata l’area delle tre miglia entro cui possono pescare dicendo di consegnarle agli altri pescatori. Successivamente, i pescatori sono stati fatti salire su un bus per il valico di Erez (tra Israele e Gaza). Una volta giunti, i soldati hanno impedito loro di incamminarsi per la strada principale che da Erez porta direttamente all’ufficio di coordinamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, e li hanno costretti ad entrare a Gaza per un percorso molto più lungo. Alle 23.00, in piena oscurità, i pescatori hanno così dovuto camminare per circa tre chilometri verso la postazione del confine, senza scarpe e senza giacca. Indossavano solo una t-shirt. La loro barca invece è stata trattenuta ad Ashdod. E’ stato detto loro di rivolgersi ad un avvocato per riaverla – con l’aggravio delle spese legali – ed inoltre sarebbe riconsegnata senza motore e senza equipaggiamento.
«Noi non siamo buoni nuotatori – aggiunge da parte sua Talat Othman ricordando le fasi dell’arresto subito sabato scorso – ci sono squali in quella zona, eravamo spaventati. Abbiamo così chiesto ai soldati di non farci tuffare in acqua, ma hanno rifiutato. Sulla nave abbiamo chiesto delle coperte ma non ce le hanno date. Ci sentivamo così sicuri in acque egiziane!…Non ho più dormito da quel momento pensando alla mia famiglia. Come possiamo continuare ad avere una vita normale? Come possiamo sostenere le nostre famiglie?»
Nell’abitazione della famiglia Baker è appeso un poster in ricordo di un cugino ucciso dalla marina israeliana circa un anno fa, il 24 settembre 2010, mentre pescava nelle acque di Gaza. Mohammed Mansur Baker, 20 anni, era un pescatore inesperto ed aveva un problema al cuore. «Quel venerdì, alle 6 del mattino, ci stava aspettando davanti la porta della sua abitazione per andare a pescare – racconta Rani – Lasciammo il porto alle 7 e raggiungemmo un miglio e mezzo dalla costa». All’improvviso – ricorda Rani – le forze della Marina israeliana iniziarono a sparare a caso. Ci spostammo verso nord ed incontrammo un’altra motovedetta israeliana, che inziò a sparare nella nostra direzione. Un proiettile colpì Mohammed (Mansur). Quando vidi che era ferito le motovedette israeliane erano a trecento metri dalla nostra barca. Chiedemmo loro aiuto e medicine per curarlo, parlai con il capitano, che era arrabbiato con il soldato che aveva colpito Mohammed, gli chiese perché aveva sparato direttamente su di lui.». I pescatori velocemente raggiunsero Soudania (a nord di Gaza city) ma una volta approdati sulla spiaggia si resero conto che Mohammed era morto. Più tardi gli israeliani comunicarono che i soldati non avevano intenzione di uccidere Mohammed. La sua famiglia si è rivolta ad un avvocato per intraprendere un’azione legale ma la spesa eccessiva (22.000 dollari) li ha costretti a fermare il procedimento. «Sarebbe stato meglio perdere la barca ed ogni cosa piuttosto che Mohammed. Per la vita delle persone non esiste valore», conclude Rani.
La famiglia Baker è tra le famiglie di pescatori più povere di Gaza. Jad Othman Baker, è sposato ed ha 5 bambini, il più grande di nove anni, il più piccolo di 3 anni. Mahmoud Yahya Baker è sposato e ha cinque bambini, tra uno e 7 anni di età. Rani Sami Baker è sposato e ha quattro bambini, di età compresa tra un mese e i 4 anni. Talat Othman Baker è sposato e ha una figlia di 13 anni.
I pescatori di Gaza rivolgono un messaggio alla comunità internazionale: «Abbiamo bisogno che si ponga fine all’assedio israeliano di Gaza, che costituisce il problema principale per noi. Senza l’assedio noi riusciremmo ad autosostenerci. Se avessimo lo spazio a cui abbiamo diritto, non avremmo bisogno di andare in Egitto. Chiediamo di fare pressione su Israele affinché ci lasci pescare nelle nostre acque e di porre fine a questa tragedia umanitaria. Madiamo un messaggio anche al popolo israeliano. Noi pescatori palestinesi non smetteremo mai di pescare per il nostro paese, non possiamo lasciare la nostra attività. Anche se usate armi contro di noi, ci aggredite, confiscate le nostre barche e ci arrestate, noi non ci arrenderemo mai, lo diciamo a voce alta. Noi noi rinunceremo ai nostri diritti. Apprezziamo gli attivisti internazionali che sono così vicini a noi, perché sono come degli occhi attraverso cui gli altri possono vederci e li ringraziamo e preghiamo che Vittorio Arrigoni riposi in pace in Paradiso». L’attivista italiano Vittorio Arrigoni, assassinato nell’aprile 2010 a Gaza, aveva raccontato la tragedia che aveva colpito la famiglia Baker con la perdita di Mohammed ed incontrato la sua famiglia.
Ai pescatori di Gaza non è permesso pescare oltre le tre miglia nautiche dalla costa, limite imposto da Israele. Le intese israelo-palestinesi del 1994 concedono infatti ai pescatori palestinesi un’area che si estende fino a 20 miglia nautiche dalla costa. Quest’area è stata poi progressivamente ridotta a 12 e a 6 miglia. In seguito all’Operazione militare «Piombo Fuso» contro Gaza (dicembre 2008-gennaio2009), Israele ha imposto un limite unilaterale di tre miglia nautiche.
I pescatori sono inoltre spesso vittime di aggressioni da parte della Marina israeliana, che non esita ad apire il fuoco in direzione dei pescatori. Spesso vengono arrestati e le loro barche sono confiscate. Gli attacchi avvengono anche all’interno delle tre miglia.
A causa di queste difficoltà, il numero di pescatori è andato diminuendo nel corso degli ultimi anni. Le acque interne al limite delle tre miglia sono ormai povere di pesci e i pescatori non riescono ad autosostenersi.
Jad Othman Baker, con uno dei suoi bambini
un poster di Mohammed Mansour Baker, ucciso un anno fa
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