Un pescatore palestinese, Khamis Baker, è rimasto ferito domenica mattina quando la marina israeliana ha aperto il fuoco su un gruppo di imbarcazioni di pescatori palestinesi nelle acque di Gaza.
La casa della famiglia di Khamis, in Al-Shati camp ("Beach" camp), è poco illuminata, il soffito cade a pezzi e le finestre sono prive di vetri.
Khamis ha una benda sulla fronte, i dottori hanno cucito la sua ferita con tre punti.
Un gruppo di bambini affolla la stanza durante la nostra visita.
"Ogni giorno affrontiamo difficoltà - inizia a raccontarci Khamis - ogni mattina affrontiamo il fuoco della marina israeliana che vuole impedirci di pescare.
Il giorno precedente avevo mandato mio figlio alla stazione di benzina, avevamo deciso di andare a pescare domenica mattina.
Mentre eravamo in mare la marina israeliana ha iniziato a sparare utilizzando anche cannoni d'acqua.
Improvvisamente mio figlio mi ha detto che c'era sangue sul mio viso, ero rimasto ferito."
Sulla barca Khamis era con suo figlio di 16 anni e tre cugini.
"E' stata una perdita di tempo e di benzina, - continua Khamis - ore ed ore passate alla stazione aspettando di prendere il carburante.
La nave della marina israeliana ha sparato continuamente sin dal mattino e girava velocemente attorno alle nostre barche per creare onde."
Khamis e gli altri pescatori si trovavano nell'area "consentita", imposta da Israele, all'interno delle tre miglia nautiche dalla costa.
Eppure i soldati gridavano loro "go to the south, go away".
C'erano più di 20 imbarcazioni di pescatori a mare. Ma non potendo più pescare, sono tornati tutti al porto.
Khamis lavora da 30 anni come pescatore ed ha 9 figli. Nell'efidicio vivono anche le famiglie dei suoi parenti, in tutto un centinaio di persone. Tutti dipendono dall'attività della pesca.
Chiedo a Khamis quanto riescono a guadagnare dalla pesca. "150 shekels - mi risponde - ma la metà se ne va per la benzina. Il resto lo dividiamo diviso 5, quindi massimo guadagnamo 20 shekels a testa."
Khamis ci dice che non c'è modo di poter pescare oltre le tre miglia, le navi della marina israeliana arrivano velocemente. Una volta hanno capovolto la loro barca e sono caduti in mare.
Chiedo infine a Khamis se si sente di lasciare un messaggio alla comunità internazionale. "Chiediamo almeno una garanzia per il nostro futuro, abbiamo bisogno di vivere in sicurezza, chiediamo almeno una garanzia per il futuro dei nostri figli.
Non chiediamo nulla, solo di porre fino all'assedio, perché i palestinesi soffrono e muoiono a causa di esso, ogni pescatore soffre di questa situazione", conclude Khamis.
Khamis è solo uno dei tanti pescatori feriti dalla marina israliana nelle acque di Gaza.
Israele attacca regolarmente i pescatori palestinesi entro il limite delle tre miglia nautiche ed impedisce loro di pescare utilizzando armi da fuoco e cannoni d'acqua.
Le restrizioni sull'area pescabile incidono notevolmente sulle capacità di sussistenza dei pescatori di Gaza.
Quest'area doveva estendersi per 20 miglia nautiche secondo gli accordi di Jericho del 1994 (sotto gli accordi di Oslo), poi fu ridotta a 12 miglia, a 6 miglia ed infine a tre miglia dal gennaio 2009.
La "buffer zone" del mare imposta da Israele impedisce ai pescatori di Gaza l'accesso all'85% delle area marina a loro consentita dagli accordi di Oslo.
Khamis Baker
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